Circa due anni dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, la vedova Velia condivise con Salvemini il suo unico incontro faccia a faccia con Mussolini, avvenuto il 14 giugno 1924, solo quattro giorni dopo il rapimento e l’omicidio, quando la sorte del segretario socialista era ancora avvolta nel mistero. Desiderava informazioni che non aveva ottenuto.
Di cosa soffriva Mussolini?
In una lettera e nel racconto ai parenti, Velia Matteotti spiegò che il Duce si era limitato a frasi di circostanza, appariva “nervoso, grigio in volto, la bocca piegata in una smorfia di nausea, la mano destra tremante sul gilè”, quasi a massaggiarsi il petto.
Velia dipinse un colloquio avvolto da un’atmosfera di colpa, con il capo del fascismo che sembrava uno spettro di terrore, inconsapevole di descrivere i sintomi di una malattia covata da tempo: un’ulcera allo stomaco, destinata a evolvere in crisi sempre più gravi, che per poco non furono mortali. Questa patologia raggiunse il culmine sette mesi dopo quell’incontro, il 15 febbraio 1925, quando Mussolini, a Roma, collassò improvvisamente, vomitando sangue e perdendo conoscenza.
Il Duce fu assistito da un’équipe di medici di fama, che diagnosticarono un’ulcera duodenale con ematemesi, melena e deliquio. La malattia di Mussolini divenne un affare di Stato, richiedendo il medesimo vincolo di riservatezza con il quale si nasconderanno le verità sugli attentati contro il dittatore. La malattia del Duce condizionò anche dinamiche politiche, accelerando la svolta autoritaria della dittatura. Inoltre, emergono tentativi goffi di spodestare il Duce malato, come il caso in cui Roberto Farinacci indisse una riunione dei ministri per preparare la successione a Mussolini, ma l’iniziativa fu prontamente stroncata da Federzoni, rivelando uno scenario politico complesso e instabile.