A distanza di meno di tre settimane dal suo sbarco sui mercati, l’ETF Bitcoin di BlackRock, denominato IBIT, ha già sfondato la soglia dei due miliardi di dollari di asset gestiti. Si tratta in pratica di oltre 52mila BTC, che portano il controvalore a quota 2,1 miliardi di dollari. I dati, peraltro, non tengono in conto la giornata di ieri, nel corso della quale IBIT ha acquistato altri 2mila token. 

Si tratta comunque di un esito inferiore a quanto preventivato da BlackRock, che nei piani iniziali contava di acquistare tale quantitativo nel corso della prima settimana di vita del suo ETF. Un dato complessivo che è comunque ancora ben lontano da quello di GBTC, l’ETF Bitcoin di Grayscale, il quale detiene 496mila token. In queste tre settimane, il fondo ha liquidato oltre 120mila Bitcoin.

Nonostante le cessioni, GBTC detiene ancora oltre 21 miliardi di controvalore nel suo interno. Un dato tale da spingere gli analisti a vaticinare ulteriori cessioni, nel corso delle prossime settimane.

Il saldo è comunque positivo

Se l’ETF di Grayscale ha liquidato un quantitativo enorme di BTC, sommando quelli acquistati nel corso delle due settimane e mezzo intercorse dal loro sbarco sul mercato, i fondi hanno acquistato oltre 130mila Bitcoin. Il saldo è dunque positivo per più di 10mila unità, nonostante le cessioni di GBTC.

Un dato che ha nuovamente riportato all’attenzione generale la centralizzazione di cui gli ETF Bitcoin si farebbero interpreti. Un vero e proprio spauracchio per gli evangelisti dell’icona crypto, che proprio sull’inclusione finanziaria hanno basato son dall’inizio la propria narrazione pro-Bitcoin.

Se è vero che i token detenuti dagli ETF non siano molti di più rispetto a quelli di inizio gennaio, il timore di un processo di accentramento nelle mani di pochi grandi fondi ha nuovamente fatto suonare i campanelli d’allarme.  

È infatti presumibile che nell’immediato futuro gli ETF continuino ad acquistare, compensando largamente le cessioni del fondo di Grayscale. Acquisti che non possono essere compensati dal ritmo di mining di Bitcoin, il quale peraltro dovrebbe ulteriormente calare dopo il quarto halving. Il dimezzamento delle ricompense previste per il conio dei nuovi esemplari, infatti, è destinato a disincentivare molti minatori, spingendoli ad abbandonare.

La custodia è centralizzata

Alcuni osservatori hanno cercato di smontare l’ipotesi di una centralizzazione in atto, per Bitcoin, ricordando che il possesso dei token acquistati non è dei fondi, bensì degli azionisti. Se sul piano formale è vero, occorre però sottolineare che la custodia dei token è assolutamente centralizzata. Una centralizzazione destinata a crescere proprio sulla base dell’andamento del mining.

I due maggiori ETF, in particolare, affidano il proprio tesoro virtuale ai servizi di custodia di Coinbase. Ovvero a quello che già da tempo è il secondo detentore di Bitcoin, alle spalle di Satoshi Nakamoto, l’ormai leggendario fondatore di BTC scomparso dalla circolazione nel 2011.

La domanda che molti si pongono in queste ore è la seguente: cosa accadrebbe nel caso in cui andasse in porto un attacco di pirateria informatica a danno della piattaforma di scambio? La risposta è molto semplice: l’attaccante potrebbe non solo impadronirsi di una quantità enorme di token, ma anche inondare il mercato con gli stessi. Con un semplice risultato: un crollo drammatico del prezzo.

Poco prima dell’approvazione degli ETF spot su Bitcoin da parte della SEC, aveva destato scalpore l’affermazione di Arthur Hayes, ex CEO di BitMex sulla possibile fine del token. Una fine la quale sarebbe derivata dal fatto che l’asset non sarebbe più stato detenuto e fatto circolare da singoli.

Un timore in effetti abbastanza fondato cui ora si va ad aggiungere quello derivante dalla strisciante centralizzazione in atto. Resta quindi da capire se, alla fine della giostra, il lasciapassare fornito agli ETF spot su Bitcoin non sia destinato a rivelarsi negativo per la creazione di Satoshi Nakamoto.