Mino Pecorelli fu freddato a colpi di pistola a pochi passi dalla via in cui aveva sede la redazione della sua rivista, nel quartiere Prati di Roma, il 20 marzo del 1979. Quarantacinque anni dopo non si sa ancora chi sia stato a sparargli, né si conoscono i nomi dei mandanti. C’è chi, però, un’idea se l’è fatta. Tra loro, anche il figlio Andrea, che ha parlato dei suoi sospetti a “Crimini e Criminologia” su Cusano Italia Tv.
Chi ha ucciso il giornalista Mino Pecorelli? I sospetti del figlio Andrea
“L’assassino di mio padre – colui che gli sparò – è vivo e vegeto e non ha novant’anni. Il suo nome è scritto negli atti dell’inchiesta”, ha dichiarato Andrea Pecorelli rispondendo alle domande dei giornalisti Fabio Camillacci e Gabriele Raho.
Poi ha indicato quella che secondo lui resta la pista più credibile, quella “della destra eversiva”, chiedendosi come sia possibile “che non sia stata verificata e approfondita in tutti questi anni”. “Forse mio padre fu messo a tacere perché aveva scoperto e stava per rivelare i preparativi per la strage di Bologna del 2 agosto 1980”, ha spiegato.
E si è detto perplesso “del fatto che, nonostante la riapertura dell’inchiesta, il magistrato inquirente Erminio Amelio della Procura di Roma non abbia fatto quasi niente” al riguardo. “Non ha ascoltato l’ex leader di Avanguardia Nazionale Domenico Magnetta, non ha sentito noi della famiglia Pecorelli che potremmo dargli qualche piccola indicazione come nuovi elementi”, ha detto.
Il riferimento è, in particolare, a una questione: la dichiarazione che Vincenzo Vinciguerra, condannato in via definitiva all’ergastolo per la strage di Peteano, fece davanti al giudice Guido Salvi, sostenendo di aver sentito Adriano Tilgher dire che la pistola utilizzata per uccidere Pecorelli – mai ritrovata – era stata affidata, subito dopo, a Domenico Magnetta.
Dichiarazione raccolta dalla giornalista Raffaella Fanelli da un vecchio verbale e servita a far riaprire le indagini riguardanti l’assassinio del giornalista.
La riapertura delle indagini
Finora non sembrerebbero esserci novità. “Sono abbastanza disincantato, dopo quasi 45 anni”, ha proseguito Pecorelli, che da tempo, insieme ai suoi familiari, spera di poter arrivare alla verità su quanto accaduto al padre.
“La riflessione che faccio sempre è questa – ha aggiunto – l’unico vero motivo per cui c’è tutto questo silenzio può essere uno solo: che l’esecutore materiale o gli esecutori materiali sono ancora in vita. Un po’ la stessa riflessione che fa Pietro Orlandi in merito al rapimento della sorella Emanuela”.
La sua speranza è che la nuova inchiesta porti a qualcosa e non a un nulla di fatto, come le tante che di recente sono state aperte e poi archiviate (si pensi, tra tutte, a quella sul delitto di via Poma). L’obiettivo finale, ovviamente, è la giustizia.
Il ricordo
“È stato un padre presente, premuroso e attento. Certo, è stato presente per quanto ha potuto perché era veramente innamorato del suo lavoro. Comunque, fino a che è stato in vita, siamo riusciti a condividere alcune cose come la sua grande passione calcistica per la Lazio: quando i biancocelesti giocavano in casa eravamo sempre presenti sugli spalti dell’Olimpico. Ancora oggi mi chiedo, che vita sarebbe stata per me, per mio fratello Stefano e per il resto della famiglia se ci fosse stato ancora?”, si è chiesto infine Pecorelli, offrendo un ritratto intimo e familiare del giornalista, allontanato dai più mentre era in vita e ora da molti ricordato come un esempio.