Ampleforth ha destato una forte discussione al suo debutto. Il motivo è da ricercare nel fatto che questa stablecoin si propone alla stregua di un ecosistema di ultima generazione il quale mira, facendo leva su protocolli e meccanismi innovativi, a proporre servizi basati su tecnologia blockchain, ma in una maniera del tutto diversa da quello che è tipico della concorrenza. Il procedimento che è stato adottato al fine di fissare il proprio ancoraggio al dollaro statunitense, però, ha destato non poche perplessità.

Ampleforth: cos’è e cosa si propone

Ampleforth è una stablecoin, ovvero una criptovaluta che si propone di bypassare la proverbiale instabilità di Bitcoin e Altcoin in genere. Si tratta in effetti di una categoria sempre più popolata, al cui interno è possibile reperire progetti molto diversi tra di loro.

Ampleforth, tuttavia, si differenzia dalle altre stablecoin per il metodo utilizzato al fine di riuscire a ottenere la sospirata stabilità del suo prezzo. Invece di affidare il compito ai depositi o all’emissione e al rimborso di debiti, il software su cui è basato va a regolare l’offerta di AMPL ogni 24 ore, per mezzo di un processo chiamato “rebasing”.

Il meccanismo è in effetti abbastanza semplice: nel caso in cui la domanda di token AMPL è alta e ogni token AMPL supera 1,06 dollari, viene aumentata l’offerta, la quale verrà invece diminuita nel caso in la quotazione tocchi quota 0,96 dollari. Per effetto di questo semplice meccanismo, Ampleforth si prefigura come criptovaluta elastica e non diluitiva. L’offerta può cambiare, ma la proporzione di token in mano agli utenti resta sempre la stessa. Se prima del rebasing uno di loro possedeva il 2% di AMPL, tale percentuale sarà la stessa dopo l’eventuale aggiustamento.

Il software Ampleforth utilizza Chainlink, un fornitore di dati costruito su Ethereum che basa la sua azione sugli oracoli. Ciò vuol dire che quelli su cui è regolato il rebasing provengono da fonti esterne alla blockchain. 

Il peg è al dollaro statunitense e avviene su base paritaria: per ogni dollaro in Ampleforth l’azienda ne garantisce uno reale a copertura. Il meccanismo si basa però su un algoritmo e questo funzionamento è destinato a sollevare non poche perplessità. Si tratta infatti dello stesso su cui si basava Terra (LUNA), prima del clamoroso schianto che ha inghiottito miliardi di dollari degli investitori.

Chi c’è dietro Ampleforth?

Quando si deve valutare un progetto in ambito DeFi, uno dei fattori da prendere in considerazione è la squadra di sviluppo che si muove alle sue spalle. Nel caso di Ampleforth, che in origine si chiamava Fragments, a lanciare l’azienda sono stati due imprenditori, Brandon Illes e Evan Kuo. Un lancio avvenuto nel corso del 2018, con l’intento di rivolgersi ai lavoratori della gig economy.

Una scelta in effetti non casuale, considerato come Kuo abbia lanciato Pythagoras Pizza, un servizio di consegne del cibo incentrato sul lavoro dei rider. Lavoratori molto particolari, quindi, che necessitano di servizi finanziari più innovativi rispetto a quelli tradizionali.

Naturalmente, una volta fondata la società i due co-fondatori hanno iniziato a guardarsi intorno per reperire i capitali necessari al lavoro di sviluppo della soluzione concepita. In questa fase hanno trovato interlocutori di peso, a partire dal CEO e fondatore di Coinbase Brian Armstrong, cui si sono aggiunte società già note per il loro operato in tal senso, ovvero Pantera Capital e True Ventures.

Grazie ai 4,75 milioni di dollari racimolati il progetto ha quindi preso il mare aperto, proponendosi in alternativa ai giganti del settore, come Tether e USDT, con risultati a dire il vero non esaltanti. Con tutta evidenza a frenare il suo successo è anche il fatto di trattarsi di una stablecoin algoritmica. Un tipo di criptovaluta che dopo la vicenda di Terra è vista con molti sospetti dai consumatori.