“All’inizio era davvero solo un nome. Anzi, nemmeno quello, perché non risultava nell’elenco dei deportati. Si era uccisa prima, non era finita sul quel treno per Auschwitz. All’inizio era solo un’ordinata calligrafia femminile, una vaga presenza tra le collezioni di insetti alla Specola di Firenze. E se oggi è diventata una delle figure simbolo della Shoah in Italia si deve solo a una domanda apparentemente senza implicazioni: cosa ci faceva una donna in una facoltà scientifica a inizio Novecento? È cominciata così, con la curiosità di due ricercatrici della Specola, Marta Poggesi e Alessandra Poggesi, che hanno voluto saperne di più su Enrica Calabresi, entomologa”. E La Repubblica scrive di questa scienziata-simbolo nel Giorno della Memoria.

Si uccise per non finire in un campo di concentramento

Viveva a Firenze e nel gennaio del 1944 fu arrestata e incarcerata a Santa Verdiana per essere deportata ad Auschwitz il 30 dello stesso mese. Fu eroica anche nella decisione di non morire nel campo di concentramento. Si avvelenò con il fosfuro di zinco, un veleno topicida che portava con sé da qualche tempo e che la costrinse a due giorni di agonia, nella notte tra il 19 e 20 gennaio. “Sapeva che avrebbe sofferto, ma lo aveva deciso lei. Lasciò le sue poche cose alle suore del carcere” ricorda L’Enciclopedia delle donne. A Roma e Pisa le hanno intitolato una via, a Firenze l’università un plesso di aule.

Stefano Bisi