La pasta in bianco a 26 euro di un ristorante di Milano continua ad animare discussioni sui social e così TAG24 ha chiesto un’opinione in merito a chi ne ha più diritto: Ines Di Lelio, l’erede della tradizione delle ‘Fettuccine alla Alfredo’, famose in tutto il mondo. La nipote di Alfredo Di Lelio, che oggi gestisce il ristorante di famiglia con sua figlia, ha raccontato la storia di suo nonno e di questo piatto, nato per il motivo più antico e nobile del mondo: l’amore.
Le ‘Fettuccine alla Alfredo’ e la pasta in bianco di Milano a 26 euro, Ines Di Lelio: “Non so con quali ingredienti la facciano”
Polemiche a non finire dopo la diffusione sui social di un video proveniente da un ristorante di Milano con protagonista una cameriera impegnata nella ‘mantecatura’ di un piatto di pasta in bianco, accompagnata dalla descrizione entusiasta: “La pasta in bianco che sta facendo impazzire Milano“.
A scatenare commenti negativi di ogni sorta è stata la segnalazione che questo piatto, apparentemente semplice, venga fatto pagare 26 euro.
Di certo, non è semplice né banale la storia delle ‘Fettuccine alla Alfredo’, realizzate con burro e parmigiano freschissimi e divenute famose in tutto il mondo. Chi meglio della nipote di Alfredo Di Lelio, l’inventore di questo piatto italianissimo, per un commento su questa vicenda. TAG24 ha raggiunto telefonicamente Ines Di Lelio per chiederle la sua opinione e raccontare la storia di questa eccellenza italiana.
Critiche a questo piatto di fusilli (non fettuccine, prima, importante differenza con l’originale) perché fatto pagare 26 euro, come se fosse un piatto pregiato pur essendo semplice pasta burro e parmigiano…
“Non so quali ingredienti usi questo ristorante di Milano per fare questa pasta. Mi sembra un po’ eccessivo che costi così tanto, se c’è solo burro e parmigiano, perché da noi costa meno. Forse aggiungeranno altri ingredienti ma non lo so. Noi usiamo un burro ottimo, speciale e fatto apposta per noi, e così anche il parmigiano. È così da anni. Non voglio fare critiche ad altri colleghi, però non è fedele alla ricetta. Mi piacerebbe tanto assaggiarla…“
Al di là del caso di Milano, le ‘Fettuccine alla Alfredo’ sono famose in tutto il mondo.
“Sì, esistono in tutto il mondo. Mia figlia è stata in Malesia e ha trovato le ‘fettuccine all’Alfredo’ anche lì. Poi, magari, le fanno con il pollo, i funghi o altri ingredienti che le ‘imbastardiscono’. Come i brasiliani che mettono il filetto di manzo sopra le fettuccine che, francamente, non c’entra proprio nulla… [ride] Addirittura anche a Roma sono proposte nei menù dei ristoranti turistici“.
Però sono anche molto imitate, in una sorta di ‘appropriazione culturale’. La vostra famiglia, in quanto erede della tradizione originale, non può fare nulla per impedire che accada?
“Un piatto, purtroppo, non si può brevettare. È come la ‘bistecca alla Bismarck’. Sono cose divenute quasi di pubblico dominio. Forse si poteva fare qualcosa nei primi anni dopo la loro invenzione ma oggi no, non sono brevettabili. È il piatto più famoso del mondo ma non si può brevettare e non si può fare nulla. Noi, infatti, distinguiamo sempre sottolineando che si tratta delle fettuccine del ristorante di Alfredo Di Lelio, indicando chiaramente il nostro cognome nel marchio del nostro franchising, con i nostri ristoranti in Messico e quello che apriremo a breve a Jedda, in Arabia Saudita“.
Le ‘Fettuccine alla Alfredo’, una storia d’amore tutta italiana
Proprio alla luce della confusione che circonda questa tradizione alla quale la famiglia Di Lelio è, ovviamente, molto legata, la nipote del ristoratore racconta la storia di questo piatto, consapevole che “persino molti romani non sanno che queste fettuccine sono state inventate a Roma. Molti credono – spiega la nipote Ines – che siano nate in America dove, addirittura, è stato indetto qualche anno fa il ‘National Fettuccine Day’. Pensate un po’…“, ricorda ridendo.
Ma allora, qual è la storia di queste fettuccine così note e imitate?
“Mio nonno le ha inventate nel 1908 per una ragione romantica. Sua moglie, mia nonna Ines – di cui porto il nome – era incinta e partorì sopra la trattoria aperta da mio nonno. Per farla riprendere dopo il parto, dal momento che era un po’ giù, come tutte le donne di quell’epoca che partorivano a casa, le fece un piatto nutriente, con fettuccine all’uovo, burro di quell’epoca e parmigiano. Piacquero a tal punto a mia nonna che gli consigliò di mettere le fettuccine sul menù della sua piccola trattoria“.
Ines Di Lelio descrive suo nonno Alfredo come il tipico “ragazzo di strada di una volta, quelli che cercavano, appunto, di costruirsi una strada per guadagnare il pane in maniera onesta“.
Di strada ne ha fatta, suo nonno, da quella piccola trattoria…
“Decisamente. Dal 1908 al 1914 mio nonno aveva un ristorante a piazza Rose, una piccola piazza adiacente alla zona dove oggi sorge la Galleria Colonna. Era in affitto e dovette andare via, trovando un altro locale in via della Scrofa dove, attualmente, c’è un ristorante che si chiama ‘Alfredo alla Scrofa’ ma dal quale lui venne via nel 1943 a causa della guerra. Mio nonno, ingenuamente, cedette il locale ai suoi camerieri, senza preoccuparsi che un domani i discendenti potessero spacciarsi, lo dico chiaramente, per eredi della nostra famiglia. Poi, negli anni ’50, riuscì ad avere una licenza per riaprire il ristorante dove siamo tutt’ora, a piazza Augusto Imperatore“.
La sua vita è davvero molto simile a un’avventura, culinaria e non solo, che sembra proprio uscire da un film. E il cinema, non a caso, gioca un ruolo fondamentale in questa piccola, grande storia, soprattutto per la sua diffusione fuori dall’Italia…
“Questo è dovuto perché, intorno agli anni ’20, andarono a mangiare al ristorante Mary Pickford e Douglas Fairbanks, due grandi star del cinema muto, a Roma in luna di miele. Il locale era diventato abbastanza famoso, sia perché si mangiava bene, sia perché mio nonno era un oste che accoglieva in maniera straordinaria i suoi ospiti. La coppia andò spesso al ristorante, nel corso degli anni, rimanendo così ammirati al punto da regalargli, nel 1927, una forchetta e un cucchiaio d’oro massiccio, con incisa la scritta ‘To the King of the noodles’ e il nome della Pickford sul cucchiaio e quello di Faibanks sulla forchetta. Su suggerimento di Ettore Petrolini, con cui mio nonno ebbe un legame molto forte, invitò al ristorante le persone famose, per farle mangiare con le rinomate ‘posate d’oro’. E così, da quell’anno, al ristorante cominciarono ad arrivare personaggi del calibro di Liz Taylor, John Wayne, Charles Laughton, Alfred Hitchcock, oltre a politici e presidenti. È chiaro, quindi, che mio nonno venne molto conosciuto in America“.
Una tradizione di famiglia che va ancora avanti
Le ‘appropriazioni’ e le polemiche non sembrano, però, scalfire l’orgoglio di Ines Di Lelio di portare avanti un marchio così importante della tradizione italiana e della storia della sua famiglia.
Un impegno assunto per una tragica fatalità, come lei stessa racconta.
“Ora siamo mia figlia ed io che portiamo avanti il ristorante. Dopo mio fratello che, purtroppo, è morto dieci anni fa ed era la terza generazione dopo nonno e mio papà. Io sono giornalista pubblicista, facevo il mio lavoro e l’ho dovuto abbandonare perché, morto mio fratello, ho pensato che dovessi assolutamente occuparmi di questa eredità, troppo bella e anche molto pesante. Mia figlia all’epoca si stava laureando e iniziava a lavorare e le chiesi se se la sentisse, ma lasciandole la libertà di scelta. Lei, che ha molto i piedi per terra, ha trattato questo lavoro come una cosa sua e se non ci fosse lei, non so come farei. Lo stiamo portando avanti con molta fatica, soprattutto oggi a causa di tante problematiche, a partire dagli strascichi della pandemia. Ma vengono da ogni parte del mondo a mangiare da noi“.