Non ha avuto alcun malore; Alberto Rizzotto, l’autista del bus elettrico di proprietà della società La Linea precipitato da un cavalcavia a Mestre lo scorso 3 ottobre sarebbe morto a causa del trauma cranico riportato dopo la caduta di oltre dieci metri. È ciò che emerge dai risultati della nuova autopsia effettuata sulla sua salma per volere della Procura di Venezia, che indaga sul caso.

Com’è morto Alberto Rizzotto, l’autista del bus della strage di Mestre? I risultati dell’autopsia

Secondo la nuova perizia, affidata dalla Procura alla cardiologa Cristina Basso dell’Università di Padova e ad altri esperti di parte, Alberto Rizzotto, che la sera del 3 ottobre si trovava alla guida del bus precipitato da un cavalcavia di mestre, non avrebbe avuto alcun malore.

Un risultato a cui era arrivato anche il medico-legale che si era occupato della precedente autopsia, il professor Guido Viel, che tuttavia aveva proposto di eseguire ulteriori esami specialistici per verificare l’esistenza di una presunta anomalia riscontrata nel suo cuore, ora esclusa.

Si attendono a questo punto gli esiti delle perizie sullo sterzo e gli altri componenti del bus sequestrati, per capire se l’incidente – costato la vita a 21 persone, incluso il 40enne – possa essere dipeso da un guasto o un malfunzionamento del mezzo.

Gli altri accertamenti riguardano il tratto di strada interessato dal sinistro, in particolare il cavalcavia contro cui il bus era finito prima di cadere nel vuoto, già oggetto di severe valutazioni e da molti definito una “semplice ringhiera”, che – se non a norma – potrebbe aver avuto un ruolo nella strage.

Tre gli indagati per omicidio stradale plurimo e lesioni

Sono tre, al momento, gli indagati per omicidio stradale plurimo e lesioni in relazione all’incidente. Si tratta di due funzionari del Comune veneziano, Roberto Di Bussolo e Alberto Cesaro, dirigenti del settore Viabilità e Mobilità per la Terraferma e del settore della Manutenzione della Viabilità Stradale – che avrebbero dovuto occuparsi dei controlli sul manto stradale del tratto interessato dall’incidente -, e di Massimo Fiorese, amministratore delegato della società La Linea.

La ricostruzione dell’incidente mortale

I fatti risalgono allo scorso 3 ottobre. Il bus, partito da Venezia, era diretto a Marghera, dove si trovava il campeggio in cui alloggiavano turisti di varia nazionalità arrivati in Italia per visitare l’area. All’improvviso, nei pressi di Mestre, era precipitato dal viadotto, atterrando a poca distanza dai binari ferroviari dopo un volo di oltre dieci metri.

Sembra che avesse iniziato a sbandare molto prima e che, dopo aver urtato il guardrail, sia riuscito a sfondarlo, cadendo e prendendo fuoco. Nonostante l’intervento di diversi volontari, giunti sul posto subito dopo aver sentito lo schianto e aver notato le fiamme provenire dal mezzo, in 21 erano morti e in 15 erano rimasti feriti.

Tra loro c’erano tre amiche di origine ucraina che da tempo sognavano un viaggio in Italia, ma anche diversi bambini e una neosposa, una ragazza croata di appena 26 anni che era in luna di miele con il compagno, sopravvissuto alla strage, seguita di poco a quella ferroviaria di Brandizzo, dove cinque operai avevano perso la vita dopo essere stati travolti da un treno mentre lavoravano alla sostituzione di alcuni binari.

Sembra che la circolazione non fosse ancora stata interrotta. In nove sono indagati per la vicenda: tra loro ci sono il tecnico di Rfi che si assunse il rischio di far partire le operazioni nonostante sapesse dei treni in arrivo su quel tratto e il capogruppo dei lavoratori, che avrebbe potuto rifiutarsi di sottostare alle sue direttive, proteggendo i colleghi.