Tortura o trattamento crudele: questo è ciò che pensa l’Onu della condanna a morte per mezzo dell’azoto puro, applicata in Alabama al condannato Kenneth Smith. A pronunciare la dura critica è Volker Turk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.

Pena di morte con azoto, Turk (Onu): “Deploro profondamente l’esecuzione”

È destinata a far discutere a lungo l’esecuzione nello Stato dell’Alabama di Kenneth Eugene Smith, primo caso nella storia di pena capitale eseguita mediate l’utilizzo di azoto puro.

Il caso aveva già creato polemiche negli Usa poiché, dopo il fallimento, nel 2022, del primo tentativo di eseguire la condanna a morte tramite iniezione letale, gli avvocati di Smith avevano tentato di evitare che il loro assistito venisse sottoposto a questa controversa pratica.

I dubbi non sono bastati alla Corte Suprema degli Stati Uniti che, nonostante il parere favorevole di tre dei sui dieci giudici, ha respinto gli appelli del detenuto 59enne, dando il via libera all’esecuzione.

Adesso è l’Onu a esprimere tutta la propria contrarietà per quanto avvenuto, tramite Volker Turk, Alto Commissario per i diritti umani, che non usa mezzi termini e parla esplicitamente di “tortura“.

“Deploro profondamente l’esecuzione di Kenneth Eugene Smith in Alabama, nonostante le serie preoccupazioni che questo metodo non testato di asfissia da azoto possa costituire tortura o trattamento crudele, inumano o degradante“.

Esecuzione con azoto, come funziona?

In effetti, non sono poche le perplessità che emergono analizzando nel dettaglio le modalità con cui viene eseguita la condanna tramite l’azoto puro.

Al condannato viene fatta indossare una maschera nella quale viene immesso azoto allo stato puro. Una condizione che porta all’immediata saturazione dell’ossigeno e, di conseguenza, alla morte per soffocamento.

Sulla carta, la persona sottoposta a questa tipologia di pena capitale, dovrebbe perdere i sensi per la privazione di ossigeno, per poi morire nel giro di pochi secondi.

In realtà, i timori riguardano la possibilità concreta che il condannato corra il rischio di soffocare nel suo stesso vomito prima di perdere conoscenza, trasformando una procedura apparentemente compassionevole, in una atrocità.