In Iran è stato giustiziato Mohammad Ghobadlou, il giovane aveva partecipato alle proteste nel 2022 dopo la morte di Mahsa Amini, la ragazza curda uccisa per mano della polizia della morale.
Iran: giustiziato Mohammad Ghobadlou, aveva partecipato alle proteste nel 2022
La mattina di martedì 23 gennaio 2024 in Iran è stata eseguita la sentenza di pena di morte su Mohammad Ghobadlou, arrestato durante le manifestazioni portate avanti in tutto il Paese nel 2022, in seguito alla rivolta del popolo iraniano per l’uccisione di Mahsa Amini, la ventenne uccisa dalla polizia della morale, braccio esecutivo del regime dello Stato.
Mohammad è stato condannato a morte con l’accusa di “Muharebe” – quello che nella costituzione iraniana è classificato come il reato di “guerra contro Dio” – e per corruzione in terra. Altro capo d’accusa contro il ragazzo è stato quello di aver investito con la sua auto, proprio durante una manifestazione del 2022 un agente di polizia.
In Iran il 22 gennaio 2024 è stata uccisa una studentessa 20enne da due agenti di sicurezza a Borujerd.
Le obiezioni contro la sentenza di morte per il giovane Mohammad e l’appello di Amnesty International
L’avvocato di Ghobadlou, Amir Raisian, ha espresso tutte le obiezioni contro la sentenza di morte del giovane e ha presentato alla Corte diversi documenti che avrebbero potuto scagionarlo. Per Mohammad non c’è stato niente da fare. Il verdetto si è rivelato inappellabile e la pena è stata tragicamente eseguita.
Il caso di Ghobadlou ha catturato l’attenzione pubblica e ha generato tumulto e disapprovazione in tutto il mondo. Il giovane si aggiunge alla lista dei manifestanti – otto fino ad ora – giustiziati dopo la nascita del movimento ‘Donna, Vita, Libertà’, fondato dopo la morte di Mahsa Amini, il 16 settembre 2022.
Amnesty International continua a lottare per i diritti delle persone che hanno partecipato alle manifestazioni in Iran, facendosi portavoce delle torture e degli abusi che in tanti subiscono ancora in prigione (dove si trovano senza aver affrontato un giusto processo).
In un rapporto di Amnesty si legge che:
“Le persone sono state sottoposte a processi iniqui: sono stati negati i loro diritti a essere difesi da un avvocato di propria scelta, alla presunzione di innocenza, a rimanere in silenzio non rispondendo alle domande e ad avere un processo giusto e pubblico. Secondo fonti ben informate, numerosi imputati sono stati torturati e le loro confessioni, estorte con la tortura, sono state usate come prove nel corso dei processi”.
Sempre in Iran, Roya Heshmati, una giovane donna ha ricevuto settantaquattro frustate come punizione per aver postato sui social una foto senza velo.