Immaginate cosa può voler dire per un giovane talento, ancora diciassettenne, che sogna di diventare un attaccante importante e scrivere una pagina del calcio italiano, approdare in un club come il Cagliari, negli anni Settanta, e trovarsi improvvisamente davanti un idolo e campione straordinario come Gigi Riva. Ecco, è esattamente quello che è successo a Pietro Paolo Virdis. Partito da un paesino di nome Sindia, nella provincia di Nuoro, nel 1974 si trova ad allenarsi proprio accanto al più grande di sempre. Un esempio, un bomber pazzesco da cui rubare con gli occhi quotidianamente. Quanti consigli, quante risate, quante storie condivise. Per la morte di Gigi Riva, Virdis è intervenuto in esclusiva a Tag24 regalandoci il suo emozionante ricordo di ‘Rombo di tuono’.

La morte di Gigi Riva, Virdis lo ricorda a Tag24

Forse senza neanche rendersene conto, Gigi Riva ha cambiato il mondo del calcio e scritto una pagina indelebile di storia di questo sport. Uomo schivo e riservato, un fenomeno in campo e con la palla tra i piedi. Un calciatore moderno, già negli anni 70 e completo: un sinistro micidiale, forte di testa, piazzato fisicamente ma al tempo stesso forte tecnicamente. Insomma, un campione straordinario, esempio di lealtà e idolo indiscusso per un popolo intero. ‘Rombo di tuono, ha scelto Cagliari e lo ha fatto da calciatore e per il resto della vita. Recordman, ancora oggi, per i 35 gol segnati con la Nazionale azzurra, è stato fondamentale anche dietro le quinte, nella vittoria del Mondiale del 2006. A poche ore dalla morte di Gigi Riva, Virdis, che con l’eroe rossoblù ha condiviso anni indimenticabili al Cagliari, lo ha ricordato in esclusiva a Tag24.

Con Gigi Riva hai condiviso anni importanti e tante esperienze. Quali sono i tuoi ricordi di quelle stagioni al Cagliari?

“Ne abbiamo fatte tante insieme e ricordo quegli anni con grande emozione. Sono arrivato al Cagliari che ero ancora giovanissimo, avevo 17 anni, mentre lui era già Gigi Riva. Ho avuto l’opportunità di giocare insieme a lui, e purtroppo ho vissuto anche il brutto infortunio che non gli ha più concesso di continuare a fare quello che più amava. Sono arrivato nel club rossoblù da un paesino, e lui era già un campione straordinario. Lo vedevo passare e sognavo di poter arrivare a determinati livelli un giorno, poi quel sogno, piano piano, si è realizzato”.

Un campione che hai incontrato più volte nel corso della tua carriera?

“Ho avuto l’opportunità di giocare con lui e di viverlo in varie esperienze. Sono tornato a Cagliari in prestito, quando ormai ero diventato un calciatore della Juventus e anche in quell’occasione mi ha aiutato a riprendermi da un momento difficile. Poi l’ho incontrato con la Nazionale Olimpica, perché lui era dirigente e accompagnatore. Ci siamo incrociati tante volte insomma, e in occasioni differenti”.

Idolo di un popolo intero, ha scelto di vestire solo la maglia del Cagliari, nonostante le offerte di club importanti, come ad esempio della Juventus. Cosa ha rappresentato per questo club?

“Lui è arrivato a Cagliari da bambino, credo avesse meno di 18 anni, e si è innamorato questa terra e non ha più voluto ascoltare proposte da nessuno. Era riuscito ad ottenere in Sardegna grandissimi risultati, quindi perché andare via? Era un numero uno, un idolo, e in altre società rischiava di diventare uno come tanti. Invece ha scelto di rimanere lì, e lo ha fatto per la vita”.

Le sue doti pazzesche, si vedevano anche in allenamento o era uno che si risparmiava?

“Non si è mai risparmiato, era fantastico. Vederlo calciare era uno spettacolo e i portieri erano sempre intimiditi da uno come lui. Faceva delle sessioni impressionanti sui tiri in porta, su cross e tiri al volo e calciava con un sinistro micidiale. Era straordinario”.

Tutti raccontano del grande uomo, prima ancora che del grande giocatore. Che tipo era?

“Gigi era uno abbastanza attivo, non era di certo un chiacchierone e non era uno che si apriva alle esternazioni e alle confidenze. Una cosa che ricordo con grande piacere, quando giocavamo nell’Olimpica, è che pur non essendo l’allenatore mi diede un consiglio fantastico. Aveva studiato perfettamente la difesa avversaria, in quell’occasione giocavamo contro la Svezia. Mi disse: “Ti devi infilare lì in mezzo e vedrai che farai gol“. Ho seguito il suo consiglio, ed è successo. Aveva un occhio in più, anche dal punto di vista tecnico-tattico. D’altronde giocavamo nella stessa zona, e i suoi consigli per me erano sempre molto importanti”.