L’idea che sta guadagnando sempre più attenzione è quella di un incentivo finanziario aggiuntivo per chi decide di ritirarsi dal lavoro più tardi, denominato comunemente “superbonus pensioni”.
Questa proposta è stata presentata dall’11° rapporto del professor Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali, presso la Camera il 16 gennaio 2024. L’obiettivo del superbonus è rendere il sistema pensionistico italiano più sostenibile a lungo termine, incoraggiando il prolungamento degli anni di lavoro prima del pensionamento, ma non solo.
Per comprendere appieno cos’è il superbonus pensionistico, quanto ammonta e la sua necessità in Italia, è essenziale esaminare questa iniziativa più da vicino.
Superbonus pensioni 2024, cos’è e a chi spetterebbe?
Il superbonus pensioni propone un incentivo salariale per coloro che scelgono di ritirarsi volontariamente a 71 anni, superando il limite stabilito dalla legge Fornero di 67 anni.
Questo bonus si tradurrebbe in un salario più elevato, con un aumento del 33% nei contributi in busta paga per tre anni, al netto delle imposte. Un incentivo necessario per prolungare la permanenza dei lavoratori senior nel mondo del lavoro.
A cosa serve il Superbonus pensioni?
Secondo il rapporto di Itinerari Previdenziali, l’Italia si posiziona tra i paesi europei con un’età media di pensionamento particolarmente bassa, pari a 63 anni. Questo dato, entro 20 anni, potrebbe portare a un superamento del numero di pensionati rispetto ai lavoratori in Italia, accentuato anche dal declino demografico.
Le riforme sono essenziali per garantire un sistema sostenibile entro il 2040, limitando gli strumenti per gli anticipi pensionistici e stabilendo un blocco dell’anzianità contributiva a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne (un anno in meno per queste ultime). Tuttavia, sembra che il vero incentivo per ritardare la pensione sia proprio questo superbonus.
Secondo il rapporto, il sistema previdenziale italiano rimarrà stabile e sostenibile solo per altri 10-15 anni, fino a quando la maggior parte dei lavoratori della generazione baby boom, nati tra il 1946 e il 1964, avranno lasciato il mondo del lavoro.
Tuttavia, i problemi non si faranno attendere. L’invecchiamento progressivo della popolazione, unito al calo della natalità causato dalle precarie condizioni economiche delle giovani generazioni, metteranno a dura prova l’Italia. In meno di 20 anni, il paese dovrà affrontare una delle transizioni demografiche più impegnative della sua storia, con il numero di pensionati superiore a quello dei lavoratori.
Attualmente, la situazione non sembra propensa a un’inversione di tendenza, almeno secondo i dati attuali. Uno studio ha rivelato un aumento del numero di pensionati: nel 2022, gli assegni pensionistici ammontavano a 16.131.414, rispetto ai 16.004.503 del 2018.Nonostante il rapporto pensionati-attivi nel lavoro sia migliorato leggermente, raggiungendo nel 2022 il valore di 1,4443 – appena sotto la soglia critica di 1,5 – l’analisi ha evidenziato una diminuzione della spesa pensionistica. Nel 2022, la spesa si è attestata a 247,588 miliardi, pari al 12,97% del Pil, rispetto al 13,42% del 2021.
A complicare ulteriormente i conti pubblici, vi è l’incremento della spesa sociale del +126% nel 2022 rispetto al 2008, passando da 73 a 157 miliardi di euro in poco più di 10 anni. Nonostante ciò, tale impegno non ha ridotto la povertà in Italia, che secondo i dati Istat supera i 5,7 milioni, rispetto ai 2,1 milioni del 2008.
Entro 15 anni, si aggiungerà a questi problemi il deficit causato dai pensionati della generazione baby boomers. Pertanto, diventa necessario invertire la tendenza con misure volte a favorire una permanenza adeguata al lavoro delle fasce più anziane della popolazione, come sottolineato da Alberto Brambilla, presidente di Itinerari Previdenziali. Egli avverte il Governo sull’incremento del debito pubblico, che “potrebbe superare i tremila miliardi di euro”.
Il superbonus pensioni si propone di limitare il ricorso a anticipazioni e di sostenere “l’invecchiamento attivo dei lavoratori”, premiando coloro che “scelgono volontariamente di lavorare fino ai 71 anni”.