Il 2024 non è iniziato nemmeno da un mese e già le prospettive per l’economia italiana appaiono complicate. È quanto risulta dal vero e proprio allarme lanciato dal Centro Studi di Confindustria, che evidenzia nuovi rischi” per la nostra economia. In particolare, la crisi nel Mar Rosso, con i continui attacchi dei ribelli Houthi, rappresenta un problema molto grave per l’export del nostro Paese e, in generale, per gli scambi commerciali che coinvolgono anche l’Italia.

Confindustria e la crisi nel Mar Rosso: “Costi di trasporto aumentati del 92%”

L’analisi mensile del Centro Studi di Confindustria preannuncia tempi complicati per l’economia italiana e la situazione nel Mar Rosso e nel Canale di Suez rappresenta il primo indiziato per le difficoltà che ci aspettano.

In attesa o nella speranza che arrivi una soluzione nell’area – finora c’è stato solo l’annuncio di una possibile missione militare europea – le prospettive per l’export italiano e per l’intero sistema economico risultano particolarmente complesse.

“L’impatto economico del crollo del trasporto marittimo attraverso il Canale di Suez è fortemente condizionato alla sua persistenza: più è prolungato, maggiori saranno gli effetti negativi sul commercio estero italiano e globale“.

Inevitabilmente, gran parte del commerci marittimo che transitava nel canale di Suez ha cercato altri sbocchi a seguito degli attacchi. Tutto questo, però, ha un costo che, nel caso di questa crisi, è decisamente elevato, pari quasi al doppio rispetto a quello di partenza.

“A metà gennaio, il traffico di navi nel mar Rosso si è più che dimezzato e il costo di trasporto dei container dall’Asia all’Europa è aumentato del 92%“.

Mar Rosso, la crisi in numeri e gli scambi più minacciati

Gran parte dell’economia italiana e globale si basa, infatti, su scambi commerciali via mare.

Solamente per quanto riguarda il nostro Paese, infatti, l’analisi rileva che il 54% di tali scambi avviene su nave e, di questi, il 40% transitano proprio nel Canale di Suez. Percentuale che raggiunge il 90% a livello globale, di cui il 12% attraverso il Canale.

Una rotta cruciale, se si considera che viene attraversata dal 90% del nostro commercio con i Paesi dell’Asia e del Medio Oriente.

Ma quali sono i beni a rischio?

Anzitutto il petrolio e il gas, poi beni elettronici e attrezzature elettriche, beni in pelle e macchinari.