Simonetta Cesaroni fu trovata morta il 7 agosto del 1990 nell’ufficio in cui lavorava come segretaria, in uno stabile di via Carlo Poma, a Roma. Erano da poco passate le 23 di sera: la sorella, che non l’aveva vista rincasare, era andata a cercarla. Per il suo omicidio, rimasto irrisolto, sarebbe stato ingiustamente condannato, più avanti, il fidanzato Raniero Busco. Da allora sono trascorsi oltre trent’anni. La Procura di Roma, che di recente aveva riaperto le indagini per fare luce sul caso, ha avanzato, lo scorso dicembre, una richiesta di archiviazione a cui i familiari della giovane si opporranno.
L’omicidio di Simonetta Cesaroni in via Carlo Poma, a Roma
Il ritrovamento del corpo di Simonetta Cesaroni
Tutto iniziò il 7 agosto del 1990. Simonetta Cesaroni aveva 20 anni e insieme alla sua famiglia viveva nel quartiere Don Bosco della Capitale. A gennaio aveva iniziato a lavorare come segretaria per lo studio commerciale Reli sas, in zona Casilina, occupandosi anche della contabilità dell’AIAG (l’Associazione Italiana Ostelli della Gioventù), che aveva sede al numero 2 di via Carlo Poma, a pochi passi da Piazza Mazzini, a Roma.
Quel giorno era uscita di casa per sbrigare delle pratiche. Poco dopo le 17 si era messa in contatto con un collega, Luigi Berrettini, per ricevere delucidazioni in merito a un lavoro che stava curando. Poi di lei si erano perse le tracce e la sorella, preoccupata di non vederla rincasare, aveva deciso di andare a controllare se stesse bene, facendo la terribile scoperta.
Dopo essere entrata in una delle stanze dello studio insieme all’allora fidanzato e al figlio del suo datore di lavoro, Luca Volponi, la donna si imbatté, infatti, nel suo cadavere. Era adagiato sul pavimento, nudo, e presentava molti segni da arma da taglio.
L’autopsia stabilì che era morta dopo essere stata colpita con un’arma bianca da punta e taglio, forse un tagliacarte, per almeno 29 volte, da qualcuno che prima aveva tentato un approccio sessuale. Qualcuno che a distanza di oltre trent’anni non è ancora stato individuato.
Le prime indagini: i sospetti sul portiere Pietrino Vanacore
I primi sospetti degli inquirenti si concentrarono su Pietro Vanacore, detto “Pietrino”, il portiere dello stabile di via Carlo Poma. Pochi giorni dopo il delitto, il 10 agosto del 1990, l’uomo fu prelevato dalla propria abitazione e portato in caserma.
Si scoprì così che, contrariamente a quanto da lui asserito, il 7 non si trovava nel cortile condominiale insieme ai colleghi, tra le 17.35 e le 18.30, orario in cui, secondo l’autopsia, Simonetta era stata uccisa. Sui suoi pantaloni vennero rinvenute, inoltre, delle tracce di sangue.
Tracce di sangue che, come sarebbe emerso in seguito, gli appartenevano. Tornò in libertà dopo 26 giorni di ingiusta detenzione, ma il fatto di essere stato additato come presunto responsabile della morte della ragazza non l’avrebbe mai abbandonato: nel 2010 si è tolto la vita gettandosi nelle acque di Torre Ovo, vicino Taranto, con indosso un cartello (“Vent’anni di sospetti ti portano al suicidio”).
Pochi giorni dopo avrebbe dovuto deporre in tribunale al processo a carico di Raniero Busco, che nel frattempo, dopo le indagini su altri uomini che erano vicini alla vittima – il datore di lavoro Salvatore Volponi e Federico Valle, che il giorno dell’omicidio si era recato nello stabile di via Poma dallo zio Cesare Valle, famoso architetto – era diventato il principale indiziato.
L’ingiusta condanna di Raniero Busco
All’epoca Raniero Busco aveva 25 anni e da poco era tornato ad essere il fidanzato di Simonetta. La loro relazione, infatti, era piuttosto burrascosa: più volte, nel corso degli anni, i due si erano lasciati e rimessi insieme, a causa soprattutto dei comportamenti aggressivi e violenti di lui, descritti nel dettaglio dalla giovane nei suoi diari.
Nell’estate del 2004, nel corso di alcuni accertamenti tecnico-scientifici, il Ris di Parma accertò che le tracce di saliva rinvenute sul corpetto e sul reggiseno della 20enne il giorno dell’omicidio appartenevano a lui. Suo sembrava essere anche il morso che la ragazza presentava su uno dei due seni.
Nel 2007 l’uomo fu quindi iscritto ufficialmente nel registro degli indagati per omicidio volontario: si pensava che avesse aggredito a morte la giovane dopo un rapporto sessuale. Mancava, però, un movente. Perché un movente non c’era.
Finito a processo, nel 2011 Busco fu condannato a 24 anni di reclusione. In Appello, l’anno successivo, fu assolto “per mancanza di prove”. Alle stesse conclusioni sarebbe arrivata anche la Cassazione nel 2014, prosciogliendolo definitivamente.
Gli ultimi sviluppi del caso, dalla riapertura delle indagini alla richiesta di archiviazione
Dopo un esposto presentato dai familiari di Simonetta, nel 2022 la Procura di Roma aveva deciso di tornare ad indagare per provare a dare un nome all’assassino della 20enne. C’erano dubbi, in particolare, sull’alibi di un avvocato, Francesco Caracciolo Di Sarno, creduto morto e poi rintracciato dalla giornalista Raffaella Fanelli, autrice del libro Chi ha ucciso Simonetta Cesaroni?, durante il processo Busco.
Si pensava che l’uomo, presidente dell’Associazione per la quale la giovane vittima lavorava e molto vicino al Sisde, potesse averla uccisa. Dei conoscenti, riferendosi a lui, avevano infatti detto, nel corso di un’intercettazione: “Questa volta lo incastrano!”. La sua posizione, alla fine, è stata archiviata, proprio come l’inchiesta (anche se i familiari di Simonetta si opporranno).
Si era trattato, insomma, di una suggestione, come quella che più recentemente ha riguardato – a partire da una vecchia informativa dei carabinieri – uno dei figli di Pietrino Vanacore, Mario, accusato di aver aggredito la giovane senza una ragione e messo ingiustamente alla gogna da parte di diversi organi di informazione.
È innocente, come lo erano il padre e Raniero Busco. L’ipotesi è che il vero autore del delitto sia stato coperto. E che le indagini, fin dai primi istanti, siano state insabbiate, proprio a questo scopo. Tracce del suo sangue potrebbero essere tra quelle rinvenute sulla scena del crimine e nell’ascensore dello stabile di via Poma, le cui mura nascondono, ancora oggi, la verità su uno dei più grandi delitti irrisolti della Capitale.
Ne parleranno insieme ai loro ospiti Fabio Camillacci e Gabriele Raho nel corso della prossima puntata di “Crimini e criminologia”, che andrà in onda domenica 21 gennaio dalle ore 21.30 alle ore 23.30 su Cusano Italia Tv (canale 122 del digitale terrestre).