Sono giorni cruciali per conoscere il destino dell’ex Ilva di Taranto, l’acciaieria più grande d’Europa, dopo che i soci di Acciaierie d’Italia -ossia Invitalia e Ancelor Mittal- stanno lavorando al loro “divorzio”. Si andrà verso un nuovo commissariamento dell’azienda, con il Governo che si è detto pronto a cercare nuovi partner privati per salvaguardare “la continuità produttiva” e “tutelare i lavoratori e la loro sicurezza”.

Ma l’ex Ilva è al centro delle cronache ormai da anni anche per ciò che riguarda l’inquinamento provocato alla città, con gravi ripercussioni sulla salute dei suoi cittadini.

Massimo Castellana, portavoce dell’associazione Genitori Tarantini, è intervenuto durante la trasmissione “L’imprenditore e gli altri”, condotto da Stefano Bandecchi e andato in onda su Cusano Italia Tv lo scorso 15 gennaio. Rivelando anche altri scenari per il futuro della società.

Castellana ha evidenziato come non ci sia una sola famiglia in città che non abbia avuto “un lutto a causa delle emissioni inquinanti dell’ex Ilva.” Una situazione che ha portato alcuni cittadini a promuovere un’azione inibitoria nei confronti dell’acciaieria, oltre che una class action risarcitoria presentata presso il Tribunale di Milano.

La class action di Genitori Tarantini contro l’ex Ilva: “Attendiamo l’ammissibilità dal Tribunale”

Castellana, intervenendo a L’imprenditore e gli altri, ha raccontato:

La situazione ambientale, nonostante nel 2023 si sia arrivati al minimo storico della produzione, resta ancora insopportabile. Il benzene, cancerogeno di prima categoria che causa leucemie, nel 2023 ha toccato picchi mai raggiunti nel passato. Molte volte sono andati oltre i limiti di legge- che voglio ricordare sono limiti politici- di 3 o 4 volte superiori rispetto a quelli che l’Oms indica come “pericolosi per la salute.

Una class action risarcitoria contro contro Acciaierie d’Italia spa, Acciaierie d’Italia Holding spa e Ilva in as, firmata da 136 persone e un bambino, è stata presentata al Tribunale di Milano- sezione Imprese lo scorso luglio.

La data di convocazione delle parti è il prossimo 18 aprile, fa sapere Castellana: la speranza è che venga dichiarata ammissibile, in quanto permetterebbe a circa 250mila cittadini di partecipare in maniera gratuita.

Ma questa non è di certo l’unica iniziativa promossa dall’associazione. La prima azione inibitoria della storia per la chiusura degli impianti è stata presentata, nel 2021, da dieci cittadini appartenenti a Genitori tarantini e un bambino, sempre presso il Tribunale di Milano. Che ha richiesto, a sua volta, l’intervento da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

L’associazione Genitori Tarantini contro l’ex Ilva e Acciaierie d’Italia: “Rivendichiamo i nostri diritti alla salute e alla serenità”

Come si evince dalla documentazione del Tribunale, nell’azione inibitoria i cittadini chiedono la tutela

  • del diritto alla salute;
  • del diritto alla serenità e tranquillità nello svolgimento della loro vita;
  • del diritto al clima.

Questi diritti, sostengono, sono

lesi in via permanente a causa di comportamenti dolosi tuttora in atto che provocano un inaccettabile inquinamento causato dalle emissioni provenienti dagli impianti dello stabilimento siderurgico ILVA di Taranto, le quali espongono i cittadini residenti ad eventi di morte e malattie aggiuntive, non ulteriormente tollerabili.

Secondo i residenti di Taranto, infatti, l‘impianto non è conforme ai requisiti della direttiva UE sulle emissioni industriali: da qui la richiesta di chiudere l’azienda.

Il Tribunale di Milano, nel settembre del 2022, ha quindi sospeso il procedimento optando per un rinvio pregiudiziale alla Corte del Lussemburgo, in modo da chiarire dei dubbi riguardante l’interpretazione delle direttive europee.

In attesa della sentenza, sono arrivate le conclusioni depositate dall’avvocatura generale della Corte Europea.

Il parere dell’avvocato generale Kokott: “La tutela della salute può giustificare danni economici”

Già nel 2019 la Corte Europea dei diritti dell’uomo aveva accertato che l’acciaieria provocava danni all’ambiente, nuocendo alla salute dei cittadini; delle misure per ridurre il loro impatto erano state adottate già dal 2012, ma i termini per l’attuazione erano state continuamente differiti.

L’avvocato generale Kokott, nel suo parere sulla vicenda proposto alla Corte emesso in data 14 dicembre 2023, ha sottolineato:

Nell’autorizzare un impianto e nel riesaminare un’autorizzazione devono essere considerate tutte le sostanze inquinanti emesse in quantità significativa che possono essere previste e il loro impatto sulla salute umana.

Aggiungendo che

qualora i fenomeni di inquinamento ambientale derivanti dall’impianto o prevedibili, nonostante l’uso delle migliori tecniche disponibili, causino danni eccessivi alla salute umana devono essere adottate misure protettive ulteriori.

Se misure in tal senso non risultino attuabili, l’impianto non può essere autorizzato. La tutela della salute umana può in tal caso giustificare anche rilevanti pregiudizi economici. In particolare, non possono essere tollerati fenomeni di inquinamento ambientale che, danneggiando la salute umana, violano i diritti fondamentali degli interessati, come accertato dalla CEDU con riferimento all’acciaieria Ilva.

Kokott ha ricordato inoltre che le condizioni di autorizzazione necessarie per garantire il rispetto di direttive anteriori a decorrere dal 30 ottobre 2007, e il rispetto della direttiva sulle emissioni industriali a partire dal 7 gennaio 2014, dovevano e devono essere applicate dall’entrata in vigore dell’autorizzazione.

Le conclusioni dell’avvocato generale non sono però vincolanti per la decisione finale della Corte di Giustizia Ue. Nelle prossime settimane è attesa la sentenza.

Castellani ha tenuto però a rimarcare l’importanza di ciò che è stato messo nero su bianco dall’avvocato Kokott:

In poche parole, se non viene assicurata la salute dei cittadini e dei lavoratori, l’azienda deve chiudere.