Si nascondeva a casa di una zia a Treviso, Dino Petrow, il secondo uomo fermato per l’omicidio del 14enne Alexandru Ivan, freddato a colpi di pistola nel parcheggio della metro C Pantano di Monte Compatri, a Roma, nella notte tra venerdì e sabato: ecco chi è e come è stato rintracciato dai carabinieri che lavorano al caso. È accusato di concorso in omicidio, come il cugino. Gli altri due complici sono ancora ricercati.
Ecco chi è il secondo fermato per l’omicidio di Alexandru Ivan: si chiama Dino Petrow
Dino Petrow ha 33 anni ed è di etnia rom come il cugino Corum, già fermato per aver preso parte alla sparatoria costata la vita al 14enne Alexandru Ivan, morto dopo essere stato raggiunto da un proiettile al torace nella notte tra venerdì e sabato a Monte Compatri, fuori Roma.
Sembra che si fosse rifugiato a casa di una zia in Veneto. Non è chiaro se volesse fuggire all’estero o se stesse semplicemente cercando di rinviare il momento del suo arresto, eseguito alle prime luci dell’alba di oggi dai carabinieri di Treviso su coordinamento della Procura di Velletri, titolare del caso.
Subito dopo il fermo del parente si erano messi sulle sue tracce. Stando a quanto ricostruito finora, sarebbe stato lui, infatti, a partecipare al pestaggio del patrigno del ragazzo morto, Tiberiu Maciuca, colpendolo con una testata alla bocca e con calci e pugni al culmine di una lite scoppiata in un bar per questioni di droga.
Corum avrebbe poi preso appuntamento con l’uomo di origini romene per un incontro chiarificatore. Incontro chiarificatore che si sarebbe rivelato essere una trappola.
La versione dei fatti di Corum Petrow
Ascoltato dagli inquirenti dopo essersi presentato spontaneamente in caserma insieme a due avvocati, il cugino dell’uomo fermato in mattinata aveva detto di non essere stato lui a sparare. Se abbia detto o meno la verità ancora non è certo. Certo è, invece, che all’agguato mortale avrebbero preso parte almeno altre due persone, al momento ricercate.
Il loro bersaglio era Maciuca. Non si sa, però, se volessero ucciderlo o se semplicemente volessero mettergli paura, dargli un avvertimento. All’incontro l’uomo si era presentato insieme al nonno materno del 14enne e ad altri parenti – comprese due donne -, dopo la festa organizzata in occasione del compleanno della compagna, la madre del ragazzo ucciso.
Con loro avevano portato mazze e coltelli. Forse si aspettavano una deriva violenta. Il giovane, preoccupato, era improvvisamente sceso dall’auto, quando era stato colpito in pieno, crollando a terra esanime. Il padre, che da anni vive e lavora a Firenze, si era detto sconvolto, ricordandolo come un ragazzo “tranquillo”, che non aveva mai dato problemi a nessuno. Andava a scuola e giocava a calcio, come i suoi coetanei. Davanti a sé aveva ancora tutta la vita.
La sparatoria al Corviale
Pochi giorni dopo l’omicidio dell’adolescente, al Corviale, nell’estrema periferia sud-ovest della Capitale, un’altra sparatoria ha portato alla morte di un 33enne con diversi precedenti. Si tratta del romano Cristiano Molè, padre di due figli. Stando a quanto ricostruito finora, sarebbe stato preso di mira per un regolamento di conti per droga a causa del suo passato criminale.
La sera del 15 gennaio scorso si trovava all’esterno della sua automobile insieme a un amico, quando era stato raggiunto da diversi colpi di arma da fuoco, crollando a terra. La compagna e altri residenti erano immediatamente scesi in strada per soccorrerlo: all’arrivo dei carabinieri per lui non c’era già più niente da fare. “Mi avete rovinato la vita”, avrebbe urlato, prima di morire, ai suoi assassini, ora ricercati.