Sono circa 9.000 le persone iscritte al Sistema Informativo Trapianti, con liste di attesa spesso di anni. Donare gli organi è un atto di altruismo e d’amore. Ne parliamo nella rubrica “Non solo trentatré”, curata dai Prof. Claudio Loffreda Mancinelli ed Enrico Ferri, con il Professor Antonio Pinna.
Laureato in medicina presso l’Università La Sapienza di Roma, dove ha anche completato la sua specializzazione in chirurgia generale. Specializzato in trapianti di organi presso il Thomas E. Starzl Transplant Institute dell’Università di Pittsburgh. Direttore del Centro trapianti addominali e del Programma trapianti di fegato da donatore vivente presso la Cleveland Clinic Florida. La sua carriera medica abbraccia quattro decenni e include l’esecuzione personale di quasi 3.000 interventi chirurgici di trapianto di fegato, reni e intestino. In Italia, il Professor Pinna è stato Direttore della Divisione di Chirurgia Generale e Trapianti dell’Università di Bologna, dove ha istituito il primo programma di trapianto di intestino. Oggi fa parte del comitato editoriale di Annals of Surgery ed è revisore delle principali riviste del settore Transplantation, American Journal Transplantation, Liver Transplantation e Clinical Transplantation.
Donazioni e Trapianti, intervista al Prof. Pinna
D: Professor Pinna, qual’è la situazione dei trapianti in Italia?
R: Ci sono finalmente buone notizie. Durante la pandemia da Covid, per ovvii motivi, avevamo avuto una contrazione dei numeri. Oggi, donazioni e trapianti di organi, tessuti e cellule sono tornati ai livelli di prima della pandemia, come si riscontra dai dati forniti dal Centro Nazionale Trapianti.È inoltre importante ricordare l’aumento consistente dei consensi alla donazione, che nei cittadini maggiorenni avviene prevalentemente presso gli uffici dell’anagrafe comunale al momento del rinnovo della carta d’identità, contro un calo delle opposizioni. Opposizioni che, con una percentuale superiore al 31%, restano un problema, soprattutto per le oltre 9.000 persone in lista d’attesa.
Perché in Italia in tanti sono contrari a donare gli organi?
D: Ma perché ancora in tanti sono contrari a donare gli organi?
R: Scarsa conoscenza dei temi, mancanza di esplicite dichiarazioni, insicurezza e atavici preconcetti. La maggioranza dei cittadini non sa nemmeno come diventare donatore, non conosce i protocolli utilizzati per accertare con certezza la morte avvenuta, ha un atteggiamento diffidente verso il sistema. Certamente, se in famiglia non si è mai parlato di queste tematiche, è difficile poi che i parenti, già emotivamente provati per la perdita del loro caro, considerino favorevolmente la possibilità di donare gli organi del congiunto. Si ha una scarsa comprensione del concetto di morte cerebrale. Il fatto che un paziente respiri, anche se solo grazie ad un respiratore meccanico, o abbia una attività cardiaca, crea non poche difficoltà ad accettare che ci si trovi difronte ad una situazione irreversibile. Questo argomento è stato descritto nei dettagli nell’intervista del Professor Paris: “Espianto d’organo”, da voi recentemente pubblicata.
D. Lei accennava ad altre cause che influenzano la decisione se diventare donatore o meno.
R: Certo, tra queste, ad esempio, la scarsa informazione, la conoscenza di problematiche è spesso marginale e superficiale, e le proprie opinioni si basano molto frequentemente sul “sentito dire”.
Se poi aggiungiamo a questo quadro di scarsa conoscenza, pregiudizi verso il Sistema Sanitario, paure legate al timore che non tutto il possibile verrà tentato solo per il fatto di essere donatori (pregiudizio questo gravissimo, in quanto mette in dubbio professionalità e comportamento deontologico), discutibili valori morali, sociali e religiosi, si giunge ai risultati attuali. Sul tema delle religioni, va espressamente detto che quella Cattolica vede nelle donazioni d’organo, un atto di altruismo, di amore. Posizione questa comune anche alla maggioranza delle altre religioni.
Va anche ricordato che, a volte, il personale delle terapie intensive, è restio ad affrontare con i familiari del paziente tematiche così delicate in un contesto difficile; altre volte, per motivi burocratici, le comunicazioni di possibili donazioni d’organo non raggiungono in maniera tempestiva il Sistema organizzativo.
Differenze tra Italia e altri Paesi
D: Professore lei ha operato in paesi culturalmente e socialmente molto diversi quali Italia, Stati Uniti, Emirati Arabi. C’è un approccio diverso verso il tema della donazione d’organo?
R: Indubbiamente esistono sostanziali differenze se paragoniamo Stati Uniti ed Italia agli Emirati Arabi, dove, nonostante l’approvazione della legge sulla donazione d’organo nei casi di morte cerebrale (legge adottata anche in Arabia Saudita), esistono ancora forti resistenze culturali. Nonostante ciò, nell’ultimo anno alla Cleveland Clinic di Abu Dhabi sono stati eseguiti 51 trapianti di fegato da cadavere a dimostrazione che una accurata divulgazione può modificare la percezione anche in paesi culturalmente diversi.
D: Dal punto di vista chirurgico (strutture, attrezzature, servizi) c’è differenza nell’istituire un programma di trapianti in Italia rispetto ad altri paesi?
R: In base alla mia personale esperienza direi di no. Io ed il mio team, prima al Policlinico di Modena e poi al Policlinico S. Orsola di Bologna, abbiamo eseguito trapianti molto complessi in pazienti particolarmente gravi. La situazione della Sanità pubblica in Italia può essere variabile in termini di risorse e non completamente standardizzata, ma questo non ci ha impedito di sviluppare protocolli per il trapianto di intestino e multi-viscerale, trapianto di fegato da donatore vivente, e trapianti combinati cuore – fegato.
Donare gli organi è un atto di altruismo e d’amore
D: Professore vuole terminare la nostra intervista con un aneddoto e una raccomandazione?
R: Con piacere. Anni fa abbiamo trapiantato un ragazzo di 17 anni che aveva bisogno di cinque organi contemporaneamente. Un’operazione estremamente complessa che durò un giorno e mezzo. Il paziente però sviluppò rigetto acuto nei confronti di alcuni organi trapiantati. Dovemmo così decidere se portare avanti un improbabile controllo della fase di rigetto o ritentare con un nuovo trapianto. Decidemmo per il nuovo trapianto e chiedemmo altri organi da un altro donatore. Ma anche in quel caso non funzionò. A quel punto si pose il dibattito, anche etico, su fino a che punto aveva senso andare avanti. Scegliemmo di fare il terzo tentativo che durò due giorni e mezzo. Funzionò e ogni anno questo ragazzo nel giorno del suo compleanno mi manda un biglietto di auguri.
Ecco, pensate a quel ragazzo come fosse vostro figlio. Non fareste tutto per dargli un’altra possibilità? Donare organi è appunto questo: dare una possibilità di vita!