Viviamo nell’epoca del riscatto femminile, nella vita quotidiana come nel nostro immaginario. E sarebbe anche ora, visti i risultati discutibili – per usare un eufemismo… – raggiunti dal nostro pianeta dopo millenni a piena trazione maschile. Secondo Willem Dafoe, Povere creature di Yorgos Lanthimos racconta proprio questa “liberazione“, come spiega l’attore giunto a Roma per presentare la pellicola.

Povere creature, Dafoe a Roma: “Film mostra uomini che opprimono le donne e molti ci si riconosceranno”

Fresco della sua stella sulla Hollywood Walk of Fame, Willem Dafoe è arrivato a Roma per presentare Povere creature, film di Yorgos Lanthimos, trionfatore ai recenti Golden Globes, nel quale interpreta il personaggio di Godwin Baxter, che ricorda molto da vicino il dottor Frankenstein.

Il film, accolto tra i consensi di pubblico e critica all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, dove ha conquistato il Leone d’Oro al Miglior Film, racconta la storia di Emma Baxter (Emma Stone), figura femminile interprete di un messaggio di emancipazione dal controllo e dalla sudditanza nei confronti degli uomini che la circondano.

Dafoe sottolinea proprio questo aspetto della pellicola, cioè il suo essere al passo di un mondo che sta provando a cambiare, proprio sul piano dei ruoli ricoperti da donne e uomini.

“Questo film racconta una liberazione personale attiva che vediamo attraverso gli occhi di una donna. Mostra chiaramente la capacità di resistenza delle donne, decisamente maggiore rispetta a quanto non siano resistenti gli uomini. Questo, probabilmente, è uno dei motivi per cui gli uomini hanno fatto di tutto per tenere le donne sottomesse per tanto tempo [ride]”.

Un film così calato in quest’epoca di cambiamenti, che l’attore ammette di non sapere se, vent’anni fa, avrebbe ricevuto la stessa, entusiastica accoglienza.

Tuttavia, precisa, per raccontare una simile “liberazione” è necessario, in primo luogo, mostrare la coercizione. Lanthimos lo fa senza remore ma anche con un gusto per il grottesco che punta a ridicolizzare la supremazia maschile. Una raffigurazione in cui molti si riconosceranno.

“Con grande ironia, la rappresentazione che viene fornita degli uomini in questo film è di persone che opprimo le donne. Sono sicuro che nel vedere questo film, molti uomini si riconosceranno in questi personaggi”.

Dafoe su Lanthimos: “Ha una visione, come Lynch, Von Trier o Cronenberg”

Quando gli viene chiesto se Lanthimos sia paragonabile ad altri ‘mostri sacri’ con cui ha condiviso parte della sua carriera – da William Friedkin per Vivere e morire a Los Angeles a David Lynch in Cuore selvaggio, fino a Lars Von Trier in Antichrist e David Cronenberg in eXistenZ – Dafoe, non ha alcun dubbio.

“Assolutamente sì. I registi per me sono estremamente importanti perché, come attore, ritengo fondamentale mettermi nelle mani di una persona che abbia una visione forte. Mi piace molto avere a che fare con una persona che abbia questo tipo di visione e che la voglia condividere con te, in modo che tu possa provare a farla tua”.

Dafoe chiarisce meglio il concetto quando spiega di non avere un ruolo che vorrebbe interpretare: per lui la cosa più importante è il processo di creazione di un personaggio.

“Do il meglio di me è quando mi trovo ad avere a che fare con delle persone e, da questo stare insieme, emerge qualcosa che stai cercando. Trovo che il processo di creazione e ricerca del personaggio sia di gran lunga migliore che non avere una preferenza sui ruoli da interpretare perché, in quest’ultimo caso, il personaggio sarebbe già formato e ci sarebbe una componente molto forte di narcisismo. Mentre la bellezza sta proprio nel tirarlo fuori il personaggio. Perché questo ti porta, da un lato, a esser comunque presente ma, dall’altro, è come se ti mettessi da parte, riuscendo a interpretare una vita che non è la tua”.

Willem Dafoe e il suo Dr. Frankenstein in Povere creature: “Crescere tra gli strumenti chirurgici di mio padre mi ha aiutato”

Dafoe affronta, poi, il suo personaggio, il dottor Godwin Baxter, una figura apparentemente vicina al dottor Frankenstein creato da Mary Shelley ma che, per l’attore, presenta una differenza fondamentale da quest’ultimo.

“Nella storia di Mary Shelley, il mostro che lo scienziato crea è qualcosa che gli provoca repulsione, mentre in questo caso, il mio personaggio quasi si innamora della sua creatura. Lui sta dando a questo essere una seconda chance e, dandola a lei, la sta dando anche a se stesso. Crede profondamente nella scienza e che possa consentirgli di avere, lui stesso, una seconda vita. Certo, la sensazione che si prova guardandolo è che faccia qualcosa di estremamente ‘non ortodosso’ e assolutamente ‘non etico’, ma lui vede tutto questo come qualcosa di generoso ed entusiasmante”.

Entrambi i genitori di Dafoe erano medici, con suo padre che era uno stimato chirurgo e l’attore ritiene che questo potrebbe aver creato “un legame particolare” per lui con il film.

Sono cresciuto in costante contatto con strumenti chirurgici. Spesso, da adolescente, accompagnavo mio padre quando faceva il suo giro di visite nella sua clinica, quindi sono vissuto in mezzo ai laboratori, alle medicine, alla malattia e ai tentativi di curarsi, soprattutto negli anni della mia formazione. Se uno ci pensa, per la grande maggioranza delle persone l’idea di star male o di doversi recare in un ospedale, è qualcosa che fa estremamente paura. Invece per me è una specie di ritorno in famiglia [ride]”.

Su streaming, cinema d’autore e sale cinematografiche: “Sono un sostenitore della visione in sala”

Parlando di un’industria che lo vede protagonista da ormai oltre quarant’anni, Dafoe offre anche il suo modesto contributo al dibattito sull’attuale direzione dell’audiovisivo, con l’avvento dello streaming a determinare nuovi modi di produzione e fruizione di film.

L’attore non è convinto che le piattaforme comportino necessariamente una riduzione degli spazi per il cinema d’autore (“Quest’anno sono usciti numerosi bei film, alcuni dei quali finanziati anche dalle piattaforme di streaming“) ma fa sua la battaglia per la difesa dell’esperienza cinematografica all’interno delle sale.

Sono un fermo sostenitore della visione di un film nelle sale cinematografiche. Non per la dimensione dello schermo ma perché, a mio avviso, l’impegno che una persona assume nel momento in cui decide di uscire di casa, andare in un luogo neutrale e condividere la visione di un film con degli estranei, è qualcosa che considero ancora molto importante”.

E, a proposito del mondo del cinema di cui fa parte, la stella sulla ‘Walk of Fame’ è un riconoscimento dato a una carriera straordinaria ma, per lui, rappresenta qualcosa di più: il segno di appartenenza a una comunità. Sebbene ammetta di avere qualche difficoltà ad “accettare che quella ‘mattonella’ mi sopravviverà“.

“Mi sono sentito davvero parte di una comunità. Una sensazione che è difficile provare, soprattutto perché, come attore, sono abituato a partecipare a produzioni nazionali o internazionali, con budget grandi o piccoli, senza avere, quindi, una comunità specifica a cui appartenere. Una stella sulla Walk of Fame, invece, viene universalmente riconosciuto come un tributo estremamente importante”.

E di questa comunità fa parte anche Emma Stone, con cui si è trovato a collaborare per la prima volta e per la quale Dafoe ha solo parole di elogio.

“Emma Stone è fantastica. Tutto il film ruotava intorno a lei e lei e Lanthimos hanno un rapporto speciale, di grandissima vicinanza. Ormai lei, per lui, è praticamente una musa, quindi è stato bellissimo vedere questo rapporto ed essere sul set con lei. Noi eravamo sul set per darle sostegno, ed è bellissimo lavorare con lei perché non ha assolutamente alcun atteggiamento da diva, è una persona molto flessibile e di grandissimo talento. È stato un set molto felice”.