La Corte d’Assise del tribunale di Catania ha condannato all’ergastolo Rosario Palermo, il 63enne finito a processo perché sospettato di aver ucciso la figlia dell’ex compagna Agata Scuto, scomparsa da Acireale il 4 giugno del 2012, e di averne occultato il cadavere. Dopo la lettura della sentenza il suo legale ha fatto sapere che una volta lette le motivazioni ricorreranno in Appello.

Condannato all’ergastolo l’ex compagno della madre di Agata Scuto, scomparsa ad Acireale 12 anni fa

L’uomo, di 63 anni, era finito nel mirino degli inquirenti a 10 anni dalla scomparsa della 22enne Agata Scuto, lo scorso 2022: non sapendo di essere intercettato, mentre si trovava alla guida della sua auto, aveva infatti espresso ad alta voce i timori relativi al possibile ritrovamento del corpo della giovane, figlia dell’ex compagna.

Abbiamo trovato la ragazza, morta… il corpo l’abbiamo trovato in un casolare nelle campagne di Pachino… l’abbiamo trovata strangolata. È morta strangolata e bruciata. E ora ci facciamo l’autopsia,

aveva detto, lasciando poco spazio ai dubbi. L’ipotesi dei giudici che ora l’hanno condannato all’ergastolo è che l’abbia uccisa, occultandone il cadavere, per evitare che si scoprisse che la 22enne, con cui sembra intrattenesse una relazione segreta, era rimasta incinta.

Il 4 giugno del 2012 la ragazza era scomparsa all’improvviso, senza lasciare tracce. La madre, preoccupata, ne aveva denunciato la sparizione, raccontando agli inquirenti di averla lasciata da sola in casa e di non averla più trovata, al suo ritorno.

Del suo caso, archiviato subito dopo l’inizio delle indagini, si era tornati a parlare qualche anno fa grazie alla trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?”, che adesso, a margine dell’udienza finale del processo a carico del 63enne, ha raccolto le dichiarazioni a caldo del suo avvocato difensore.

Le dichiarazioni dell’avvocato difensore

Rispettiamo la sentenza della Corte, anche se non la condividiamo. Avremo il tempo di leggere con attenzione le motivazioni, dopodiché proporremo sicuramente impugnazione. Altri commenti in questo momento sono superflui,

ha detto il legale che difende Palermo all’uscita dall’aula, intercettato dai microfoni dei giornalisti. E ha anche spiegato che, secondo lui, “nell’intercettazione di Palermo non vi è una confessione”. Secondo l’accusa invece sì e l’uomo non solo avrebbe ucciso la giovane, ma avrebbe anche cercato di depistare le indagini.

Il giorno della scomparsa della ragazza, dopo la denuncia presentata dalla madre, aveva infatti sostenuto di averla vista in compagnia di un’altra persona e di essersi sentito dire dalla stessa che voleva essere lasciata in pace, convincendo la donna a ritirare l’esposto. Il suo corpo, nonostante le serrate ricerche, non è mai stato ritrovato.

Sui social, tra i tanti che commentano positivamente la notizia della condanna, c’è anche chi – non a caso – si augura che l’uomo possa finalmente guardare dentro di sé e decidere di parlare, raccontando come sono andate le cose quel pomeriggio di giugno di 12 anni fa.

La madre della ragazza gli ha rivolto più volte degli appelli per spingerlo a dire la verità, ipotizzando che sia stato aiutato da qualcuno che poi, per paura, avrebbe scelto di restare in silenzio. Finora ogni tentativo è stato vano. L’uomo, infatti, continua a proclamarsi innocente.

Una storia che ne riporta alla mente un’altra

La storia di Agata Scuto ne ricorda un’altra, più recente: quella di Marzia Capezzuti, segregata e poi uccisa per la pensione di invalidità a Pontecagnano, nel Salernitano. Anche lei, come Agata, era affetta da problemi cognitivi. Anche il suo corpo, per tantissimo tempo, era rimasto nascosto, prima di essere ritrovato in un casolare di campagna abbandonato, in evidente stato di decomposizione.

Per il suo brutale omicidio sono state arrestate tre persone: Barbara Vacchiano, la donna che aveva ospitato Marzia dopo il suo allontanamento dalla comunità di cui era ospite, il marito Damiano Noschese e il figlio 15enne della coppia. Era stato lui, nel corso di una videochiamata alla sorella, a svelare i dettagli choc del delitto, sostenendo di “aver finito” la giovane insieme ai suoi parenti.