Il caso della ristoratrice di Lodi, Giovanna Pedretti, ha suscitato sconcerto, commozione, indignazione e ha stimolato la riflessione di molti sull’uso talvolta sconsiderato e compulsivo dei social. Tra i commenti che ho letto c’è questo del senatore Matteo Renzi che scrive: “E’ difficile capire che cosa sia una shitstorm finché non ci sei dentro.
È difficile capire che cosa si prova quando il primo che passa per la strada o sui social pensa che sia suo diritto insultarti, denigrarti, offenderti”. Sono andato a cercare il significato dell’espressione shit storm (letteralmente tempesta di cacca), cioè “quel fenomeno con il quale un numero piuttosto consistente di persone manifesta il proprio dissenso nei confronti di un’altra persona (o di un gruppo), o di una organizzazione o di una azienda. Questa tempesta di insulti e/o commenti denigratori si realizza in rete, generalmente sui social media, sui blog o su altre piattaforme che consentono l’interazione”.
L’uso scellerato dei social non riguarda solo i ragazzi ma soprattutto gli adulti
Renzi aggiunge che per resistere “bisogna avere un buon carattere. E bisogna sperare che la tua famiglia regga. Non commento il singolo caso se non con un pensiero commosso alla famiglia della vittima. Ma il messaggio che voglio dare è: occhio, ragazzi, l’odio social fa molto più male di quello che pensate. Quelli come me hanno le spalle larghe, reggono e rilanciano, ma mantengono il sorriso. C’è chi non riesce a sopportare il peso. Impariamo a essere più gentili con gli altri. A rispettare le loro storie senza avere sempre la pretesa arrogante e violenta di chi giudica senza sapere nulla della vita degli altri. Impariamo a rimanere umani”.
Il commento di Renzi è saggio. Si può condividere, ad eccezione di un punto: il senatore si rivolge ai “ragazzi” come se il problema dell’utilizzo scellerato dei social riguardasse solo i giovanissimi. Non è così. Anzi, forse ne sono protagonisti più gli adulti che smanettando e insultando sui social, con profili anonimi e non, si sentono giovani e, appunto, scellerati.
Stefano Bisi