Era il 16 gennaio 2023 quando il mondo apprendeva la notizia dell’arresto di Matteo Messina Denaro a Palermo. Quel giorno il boss mafioso, latitante da 30 anni, si era recato in una clinica per sottoporsi alla chemioterapia. Qui era scattato il blitz dei carabinieri, che lo avevano trovato, ammanettato e finalmente arrestato.

Matteo Messina Denaro, l’arresto il 16 gennaio 2023: il racconto

L’arresto di Matteo Messina Denaro è stata una delle notizie probabilmente più importanti del 2023. Oggi, ad un anno di distanza, ripercorriamo insieme alcune tappe principali che hanno portato al ritrovamento dell’uomo, ricercato in Italia e tutto il mondo per decine e decine di anni.

I militari del Ros sapevano che il boss era malato ed è stata proprio questa malattia a “incastrarlo”. Prima sembrava un fantasma, quasi inafferrabile. In realtà però egli era vivo e si nascondeva a casa sua.

Durante l’ultimo periodo di latitanza il boss mafioso aveva scoperto di avere un tumore al colon. Lo stesso che lo ha ucciso nel giro di pochi mesi dopo il suo arresto. Egli aveva deciso di curarsi, per quanto possibile.

Così si era recato in una clinica specializzata utilizzando il nome di un suo fiancheggiatore, il prestanome Andrea Bonafede. I carabinieri avevano scoperto del cancro del boss dopo aver ritrovato un pizzino nella casa della sorella durante un blitz segreto compiuto poco tempo prima.

I militari da quel momento avevano continuato a seguire tale pista, lavorando con esperti di intelligence e molti altri professionisti del settore. Poi finalmente, il 16 gennaio di un anno fa, sono arrivati a catturarlo.

Con lui sono finite in manette anche decine di persone che, in questi 30 anni di latitanza, lo hanno fiancheggiato e aiutato, consentendogli di vivere protetto. I dubbi su ciò che lui ha fatto nel corso della sua vita e sul periodo all’ombra delle autorità e delle Forze dell’ordine italiane sono tantissimi.

Il 25 settembre di quello stesso anno il boss è morto presso un ospedale a L’Aquila, dove era ricoverato da diversi giorni e stava ricevendo le cure palliative. L’uomo, ritenuto responsabile di stragi e di terribili delitti, compresa l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, non ha mai mostrato segnali di pentimento. Nemmeno in punto di morte.

La latitanza e l’interrogatorio del boss

L’arresto e il decesso di Matteo Messina Denaro di certo non dichiarano finita l’era di Cosa nostra e delle varie associazioni mafiose presenti in Italia e nel mondo. Certo è che con la morte di di una delle più importanti personalità criminali di questi gruppi, sono morti anche molti segreti che probabilmente non verranno mai alla luce.

Il boss era stato condannato per la strage di Capaci, per via d’Amelio (che avevano portato all’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino) e anche per gli eccidi del 1992 a Roma, a Firenze e a Milano. Era stato ritenuto anche responsabile della morte di Di Matteo, bambino piccolo figlio di un pentito.

Accuse che lui ha sempre negato. Negli anni di latitanza poi si era creato un’altra identità e, come da lui stesso raccontato, giocava a poker, mangiava al ristorante, andava al supermercato. Una vita “non sedentaria”, ma anzi “movimentata”. E ciò soprattutto grazie ai numerosi complici che aveva e che lo proteggevano.

Il 13 febbraio 2023, come si legge nel verbale dell’interrogatorio reso al procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia e all’aggiunto Paolo Guido, Matteo Messina Denaro aveva dimostrato il comportamento di sempre: arrogante e spavaldo.

Aveva negato di aver fatto parte Cosa nostra, anche se aveva ammesso di averci “fatto affari”. Aveva detto di “essere un uomo d’onore” e di non sentirsi un mafioso. Come già detto poi, non aveva mostrato segnali di pentimento, nemmeno fino all’ultimo giorno della sua vita.