La Corte d’Assise di Pavia l’ha condannata a 12 anni di carcere per aver ucciso la figlia di due anni nell’abitazione in cui vivevano a Cisliano, nel Milanese, nel marzo del 2021: ecco chi è Patrizia Coluzzi. Subito dopo i fatti la donna aveva tentato di togliersi la vita: era in fase di separazione con il marito. Secondo gli inquirenti voleva vendicarsi di lui perché non accettava che volesse lasciarla. La sua storia aveva riportato alla mente di molti quella di Veronica Panarello e Annamaria Franzoni.

Uccise la figlia di due anni a Cisliano, nel Milanese: ecco chi è Patrizia Coluzzi, condannata a 12 anni

Sulla base della perizia psichiatrica che aveva definito la donna “incapace di intendere e di volere”, la pubblica accusa aveva chiesto di proscioglierla. La Corte d’Assise di Pavia, ritenendo più attendibile il giudizio espresso dai consulenti di parte incaricati di visitarla, che l’avevano dichiarata “seminferme di mente“, ha invece deciso di condannarla a 12 anni di carcere più 5 da trascorrere in una Rems.

Sono gli ultimi sviluppi del caso di infanticidio che aveva portato a processo la 44enne Patrizia Coluzzi, accusata di aver soffocato con un cuscino la figlia di due anni a Cisliano, nel Milanese. I fatti risalgono al marzo del 2021. La donna, che era in fase di separazione con il marito, aveva tolto la vita alla bimba, tentando a sua volta di suicidarsi con un rasoio, dopo aver lasciato dei biglietti d’addio nell’abitazione in cui viveva insieme agli altri due figli, avuti da un precedente matrimonio.

Biglietti rivolti perlopiù all’ex, che più volte aveva denunciato per accuse poi rilevatesi infondate. Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti nel corso delle indagini, era entrata in una sorta di paranoia, convincendosi che il marito la tradisse e le raccontasse bugie continuamente. Avrebbe agito, quindi, per vendetta nei suoi confronti.

A dimostrarlo la telefonata che gli aveva fatto negli attimi successivi all’uccisione della piccola per informarlo dell’accaduto, nel corso della quale, anziché “denotare la disperazione di una madre per la perdita della figlia”, si mostrava quasi compiaciuta “per la vendetta inflitta in tal modo al marito reo di non voler proseguire la relazione con lei”. Aveva paura di restare da sola, di essere abbandonata.

La sentenza di primo grado ha stabilito che ora dovrà risarcire il padre della bambina, i due figli Marco e Lorenzo e i nonni con 650 mila, 800 mila e 460 mila euro ciascuno.

Gli altri casi di infanticidio saliti alla ribalta delle cronache

L’omicidio della piccola Edith aveva lasciato esterrefatta la comunità nazionale, riportando alla mente di molti altri casi simili. Si pensi a quello di Lorys Stival, ucciso all’età di 8 anni dalla madre Veronica Panarello nel novembre del 2014 nel cosiddetto delitto di Santa Croce Camerina.

O, ancora prima, al delitto di Cogne, come è salito alla ribalta delle cronache il caso dell’omicidio del piccolo Samuel Lorenzi, di 3 anni, per mano della madre Annamaria Franzoni. Era il 30 gennaio del 2002. Dopo aver accompagnato il figlio più grande alla fermata dell’autobus, la donna, originaria di San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna, era rincasata e aveva chiamato il 112 sostenendo che il bimbo vomitasse sangue.

Quando i soccorsi erano arrivati sul posto, lo avevano trovato morto. Secondo l’autopsia era stato colpito almeno diciassette volte con un corpo contundente. Un fatto terribile, che sconvolse l’opinione pubblica, costando alla donna – che si è sempre proclamata innocente – 16 anni totali di reclusione. Gli esperti pensano che soffra di un disturbo di adattamento e che abbia dimenticato gli attimi in cui, presa dal panico, tolse la vita al bambino.