Per chi intende investire nel trading di criptovalute nel nostro Paese, occorre tenere in conto il regime fiscale cui le stesse sono sottoposte. Un regime che anche per il nuovo anno è stato oggetto di alcune modifiche che occorre conoscere, per non lasciare aperta la porta a contenziosi con l’Agenzia delle Entrate. Andiamo quindi a vedere come è stato inquadrato il discorso nella Legge di Bilancio 2023.

Criptovalute: cosa dice la Legge di Bilancio 2023?

La Legge di Bilancio 2023 ha affrontato di nuovo il discorso relativo alla regolarizzazione della proceduta tesa alla gestione di questo genere d’investimento all’interno della dichiarazione dei redditi. Le modifiche introdotte vanno a riguardare non soltanto le persone fisiche, ma anche le imprese operanti nel settore della blockchain.

Fino all’anno passato, oggetto di tassazione nel nostro Paese era soltanto la compravendita di asset virtuali. Per le transazioni in oggetto, l’aliquota fiscale sulle plusvalenze generate da criptovaluta era equiparata agli altri asset finanziari, risultando quindi pari al 26%. Si tratta in pratica dell’imposta sostitutiva a quelli che sono indicati come redditi diversi di natura finanziaria. Un regime fiscale il quale, però, viene applicato esclusivamente nel caso in cui i redditi prodotti non vadano a rientrare tra quelli di un’attività di impresa, arte o professione o di lavoro dipendente.

Cosa vuol dire, questo? In pratica che il semplice possesso di una crypto non determina la tassazione, che deve avere luogo soltanto in caso di capital gain effettivo. L’imposta sostitutiva va quindi applicata nel caso un utente riesca a generare un guadagno. Tale guadagno deve risultare dal differenziale tra plusvalenze e minusvalenze. In questo quadro di riferimento va ad operare la Legge di Bilancio 2023, che provvede a fissare una nuova categoria di redditi diversi.

Criptovalute: le novità in arrivo per il loro regime fiscale

L’Agenzia delle Entrate ha assimilato le criptovalute alle valute estere dal punto di vista fiscale, con la loro conseguente ricaduta nel regime di tassazione previsto dall’articolo 67 del TUIR. La Legge di Bilancio 2023 ha a sua volta portato ad un rimescolamento delle carte, provvedendo a indicare come tali una rappresentazione digitale di valore o di diritti i quali possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito (DLT) o una equivalente.

La tassazione continua ad essere applicata alle plusvalenze e agli altri proventi generati tramite il rimborso o la cessione a titolo oneroso, la permuta e la detenzione di valute virtuali. Operazioni che devono però oltrepassare la franchigia di 2mila euro nel corso del periodo d’imposta. Sotto questa soglia neanche le plusvalenze hanno rilevanza fiscale.

Il fatto che ad essere interessate siano soprattutto le attività di trading rappresenta una novità rispetto al passato. Prima, infatti, il contribuente doveva versare l’aliquota solo nel caso in cui l’ammontare detenuto oltrepassava un importo pari a 51.645,69 euro per sette giorni lavorativi continui in un anno di imposta.

Per rimborso e cessione, si intendono la vendita (con la conversione di crypto in valuta fiat), l’acquisto di un bene o servizio tramite monete digitali e l’utilizzo per l’acquisto di token non fungibili (NFT). Per quanto concerne le attività di permuta, il calcolo delle plusvalenze non comprende il cambio di criptovalute in altro denaro virtuale. Mentre per ciò che riguarda la detenzione, l’imposizione riguarda le plusvalenze generate da mining, staking e airdrop. Queste attività sono ora equiparate ai redditi fondiari.

Dove inserire le criptovalute nella dichiarazione dei redditi

In sede di dichiarazione dei redditi, l’aliquota del 26% va applicata in modo diverso. Nel caso in cui il contribuente sia in regime amministrato (ovvero se l’intermediario è chiamato a fare da sostituto d’imposta) i redditi diversi generati da attività di valute estere non devono essere comunicati all’Agenzia delle Entrate e inseriti nella dichiarazione dei redditi. La ritenuta va in questa circostanza applicata al momento della vendita o cessione in cambio di valuta fiat, direttamente ad opera dell’intermediario.

Il discorso muta per il regime dichiarativo, che presuppone l’inserimento delle plusvalenze e minusvalenze nel Quadro RT e nel Quadro RW. Questo caso deriva dalla necessità di monitoraggio fiscale e del pagamento dell’IVAFE, l’imposta patrimoniale sulle attività finanziarie all’estero, che è dovuta ove gli asset virtuali siano detenuti in un portafogli elettronico posizionato all’esterno del territorio nazionale. in questo caso è l’interessato a dover procedere al calcolo di plusvalenze e minusvalenze. Una volta che lo abbia fatto deve anche provvedere al loro inserimento all’interno del Modello Redditi Persone Fisiche – PF, quello che un tempo si chiamava Modello Unico.

Nel caso in cui il contribuente non abbia provveduto a conservare i documenti in grado di certificare il valore d’acquisto o li abbia smarriti, essendo di conseguenza impossibilitato a condurre il calcolo delle plusvalenze, può comunque rimediare prendendo come riferimento il bonifico dell’exchange. O, ancora, può fare riferimento al valore delle sue criptovalute al 1° gennaio 2023. In questo caso l’aliquota applicabile non è quella del 26%, ma la sostitutiva al 14%.

Infine le sanzioni, cui va incontro chi non dichiara le criptovalute detenute nella dichiarazione dei redditi. Chi non rispetta la legge può essere colpito da sanzioni le quali possono andare dal 3 al 15% dell’importo non dichiarato. Anche in questo caso, però, non manca la classica sanatoria per chi chi intende regolarizzare la propria posizione fiscale, usufruendo dell’istanza di emersione.