Immaginate di uscire di casa e di rischiare la vita per una bega tra due esponenti dei cartelli della droga. Sembra uno scenario remoto ma è quello che sta accadendo in Ecuador da qualche giorno. Il 9 gennaio è stata la punta dell’iceberg di una situazione complessa – ed invisibile agli occhi dell’Occidente – che va avanti da due anni in Ecuador. Da ormai due anni il Paese sudamericano è diventato un’area instabile dove i cartelli hanno trovato terreno fertile per infiltrazioni nella politica e nella società. Eppure non è sempre stato così.
Di chi è la colpa? Ci sono diversi fattori che hanno permesso l’ascesa della criminalità organizzata in Ecuador: dal disfacimento di alcune strutture necessarie partito dalla presidenza Moreno nel 2017 fino al taglio di misure sociali.

L’intervista a Cecilia Narea (Fratelli Ecuadoriani)

Sentivo gli spari mentre parlavo con mio fratello che insegna a Guayaquil, mi ha raccontato che hanno fatto evacuare la scuola dove lavora…tante persone sono rimaste chiuse nei propri uffici mentre fuori c’erano scontri tra cartelli e forze dell’ordine” a raccontare a Tag24.it quello che sta succedendo in Ecuador è Cecilia Narea: ecuadoriana che vive e lavora in Italia e fa parte del direttivo dell’Associazione Fratelli Ecuadoriani’, con alle spalle meno di un anno di vita che aiuta i connazionali ad integrarsi nel nostro Paese. Cecilia ripercorre la storia recente dell’Ecuador spiegando cosa ha portato uno degli Stati più tranquilli del Sudamerica a diventare un autentico inferno nel giro di poco.

Quello che arriva in Occidente è un quadro preoccupante, sembra che in Ecuador si stia consumando una tragedia…

Purtroppo da due anni il nostro Paese è teatro di violenze perpetrate da bande criminali. Sono partiti chiedendo il pizzo ai commercianti e sono arrivati a fare cose anche più gravi fino ai recenti episodi del 9 gennaio quando Adolfo ‘Fito’ Macias, dei Los Choneros, è scappato dal carcere forse riuscendo a corrompere qualche esponente della polizia.

Il 9 gennaio era il giorno dopo l’annuncio dello stato d’emergenza, in cui il presidente Noboa ha dichiarato un coprifuoco dalle 23 alle 5 del mattino. Quel giorno un gruppo di uomini armati hanno fatto irruzione negli studi della tv pubblica Tc Televisión, a Guayaquil, e hanno preso in ostaggio dipendenti e conduttori, obbligandoli a restare sdraiati a terra. Per più di un’ora le telecamere sono rimaste accese e hanno continuato a trasmettere in diretta quello che stava succedendo, mentre in sottofondo si sentiva il rumore di spari e detonazioni, meno male non è stato ferito nessuno e dopo quasi due ore la polizia è intervenuta, arrestando tredici persone.
Dopo Fito è scappato anche un altro leader criminale, Fabricio Colón Pico, affiliato a una banda rivale che si chiama Los Lobos. Parallelamente, i detenuti di varie prigioni hanno preso in ostaggio decine di agenti e di guardie penitenziarie, sono stati saccheggiati negozi, sono esplose autobombe in alcune zone del paese, attacchi in ospedali e scontri a fuoco in molte province.

Quindi non si tratta di una situazione nuova ma del culmine di una escalation che va avanti da due anni…

L’evasione di Fito è stata la classica boccia che fa traboccare il vaso. Macias è un uomo che ha potere e prestigio in quanto capo di una banda che è riuscita ad entrare in contatto con i cartelli messicani. Un tempo l’Ecuador era solo un Paese di passaggio della droga.

Noi non conoscevamo questo orrore…oggi invece passeggiando per strada è possibile addirittura trovare morti per strada o teste mozzate.

Cosa ha favorito una situazione del genere?

Ci sono diversi fattori che hanno portato a quello che si vive oggi. Negli anni precedenti c’è stato uno smantellamento dello Stato iniziato con l’elezione di Lenin Moreno che doveva dare continuità all’operato di Correa.

Moreno non solo ha messo da parte la linea politica del suo predecessore ma è anche arrivato a stringere patti con l’estrema destra e da lì ha iniziato a smantellare lo Stato depotenziando il ministero di Giustizia ed altri dicasteri. C’è stato un inasprimento delle politiche carcerarie e sono stati tagliati fondi per il recupero delle persone negli istituti penitenziari. I disordini sono il frutto di una serie di scelte sbagliate dei precedenti governi e nel frattempo c’è gente che scappa dal nostro Paese: una cosa che non si vedeva dal 1999!

Cosa racconta chi è in Ecuador?

In breve non si vive più. La gente alle 7 di sera si chiude in casa e ci sono quartieri che vengono addirittura ‘chiusi’ dopo una certa ora e se si esce si rischia di essere uccisi o di trovarsi feriti a causa di uno scontro tra bande.
Mio fratello è un insegnante. Vedendo quello che succedeva l’ho chiamato, lui lavora in una scuola di Guayaquil e mentre eravamo al telefono era possibile udire il rumore degli spari. I bambini erano stati mandati via a causa dei disordini. E ci sono molte altre persone che si sono nascoste nei propri uffici. Sembra che la vita sia diventata una roulette russa lì.

Possiamo dire che la criminalità organizzata è diventata uno ‘Stato parallelo’ in Ecuador?

Purtroppo sì. Ci sono sindaci in alcune province che sono stati addirittura minacciati dai capi dei cartelli: a Duran, un distretto di Guayaquil, ha tentato di ammazzare il sindaco ma non ci sono riusciti. Da allora vive nascosto…

Noboa è la persona adatta a contrastare questa escalation di tensione?

Per il bene del paese, speriamo, ma ancora è presto per dirlo, Noboa ha vinto le elezioni lo scorso ottobre con la promessa di combattere la criminalità organizzata e riportare il paese a livelli di sicurezza accettabili, ma proprio questa strategia che il nuovo presidente sta mettendo in atto, cioè limitare il potere alle bande criminali e ai loro capi in carcere, per esempio trasferendoli in carcere di massima sicurezza o allungando le loro pene, ha infastidito le bande criminali che hanno provocato il caos il 9 gennaio, partendo proprio dalle prigioni.
È il presidente più giovane della storia dell’Ecuador, ha 36 anni, ha poca esperienza politica, non si dichiara né di destra né di sinistra, anche se è figlio di un ricchissimo imprenditore, Álvaro Noboa, inoltre, molti dei suoi Ministri non hanno sperienza nelle loro cariche.
Dopo il 9 gennaio il Presidente Noboa ha dichiarato che nel paese è in corso “un conflitto armato interno”, e ha ordinato ai militari di ristabilire l’ordine nelle strade e ha definito “gruppi terroristici” ventidue bande criminali attive nel paese.

Perché allora è stato eletto?

Il problema principale è la disinformazione. Molti cittadini non leggono i programmi politici dei candidati, e si fanno convincere di quello che vedono nei telegiornali egemonici.

Noboa, ha vinto con una vicepresidente di ultra destra, che dichiarava che i diritti dei lavoratori non dovevano esserci perché era nocivo per le imprese, che la salute e l’educazione non dovevano essere responsabilità dello Stato, ma comunque lo hanno votato.

L’altra candidata era della linea politica dell’ex presidente Correa, che è stato colpevolizzato degli attuali problemi della droga, perché nel suo Governo è stata approvata la tabella del consumo di droga sulla base di un’analisi di tossicità, studi psicologici e biologici preparati dal ministero della Salute. Inoltre, la destra del Paese non perdona le politiche fiscali di Correa.

Si parlava di ‘recupero’ ma oggi la parola d’ordine sembra ‘repressione’. Non servirebbe un programma per togliere dalle mani dei cartelli nuove leve?

Assolutamente sì, considero che servono politiche pubbliche, riabilitazione sociale e stabilire programmi di reinserimento sociale. Lo stato d’emergenza è qualcosa di già visto sotto Moreno e Lasso, non servì a nulla: i gruppi criminali sono a volte più preparati e riescono a creare infiltrazioni nella polizia, questo è stato denunciato anche da un candidato alla presidenza dell’Ecuador Fernando Villavicencio ed è stato minacciato da Fito. Pochi giorni dopo Villavicencio è stato ucciso a Quito.