È stata interrogata per quasi due ore, all’ospedale Bufalini di Cesena – dove è ricoverata con una prognosi di 40 giorni – la donna che si è buttata con la figlia e la sua cagnolina dal nono piano di una palazzina di Ravenna, salvandosi: è accusata dell’omicidio pluriaggravato della bimba di sei anni e di uccisione di animali.

Interrogata la donna che si è buttata con la figlia dal nono piano a Ravenna

Ho sospeso di recente l’assunzione dei farmaci che mi erano stati prescritti dal centro di salute mentale,

avrebbe detto agli inquirenti Giulia Lavatura, l’insegnante di 41 anni ricoverata al Bufalini di Cesena a causa delle ferite riportate dopo essersi buttata dal nono piano di un condominio di via Dradi, a Ravenna, insieme alla figlia Wendy, di 6 anni, e alla loro cagnolina Jessy, entrambe morte sul colpo.

L’unica esitazione l’ho avuta quando mia figlia ha cercato di fermarmi. L’avevo presa in braccio che ancora dormiva e poi si è svegliata. Volevo suicidarmi e volevo che lei non rimanesse senza di me. Avevo premeditato tutto giorni prima,

avrebbe aggiunto, in lacrime, ripercorrendo quanto accaduto la mattina dell’8 gennaio scorso. A riportarlo è il Corriere della Sera. La sua versione dei fatti combacerebbe con quella della testimone che agli inquirenti, nelle scorse ore, aveva riferito di aver sentito la bambina urlare alla donna di “non farlo”, di non gettarsi.

Pochi attimi dopo gli operai impegnati in dei lavori nel cortile sottostante si sarebbero imbattuti nei loro corpi. Per la bimba non c’era già più niente da fare; Lavatura invece era stata soccorsa e trasportata d’urgenza in ospedale, dove, nei prossimi giorni, dovrà essere operata.

Sembra che soffra di un grave disturbo bipolare. Secondo il legale che la assiste in questa delicata fase, Massimo Ricci Maccarini, i medici che la seguivano non avrebbero dovuto permetterle di scegliere in autonomia se sospendere l’assunzione dei farmaci che gli erano stati prescritti, che addirittura uno psichiatra le avrebbe “suggerito” di buttare.

Nelle prossime ore bisognerà capire, tramite i dovuti accertamenti, se avesse somministrato delle sostanze alla figlia.

Giulia lo ha negato durante l’interrogatorio – ha fatto sapere il suo avvocato -, io le credo perché è stata sincerca su tutte le altre cose e non vedo perché avrebbe dovuto mentire su un fatto del genere.

Il lungo post pubblicato sui social

In un lungo post pubblicato su Facebook prima della tragedia, una sorta di “messaggio d’addio”, la donna aveva accusato il padre e altri familiari di situazioni che per lei, a quanto pare, erano diventate ingestibili, alcune delle quali riguardanti dei lavori in corso nel condominio in cui viveva insieme al marito Davide Timò, ingegnere di professione.

Secondo il suo legale “quando si è gettata di sotto con la figlia e il cane”, legando quest’ultimo a sé per fare in modo che restasse ancorato a lei e alla bambina, non era capace di intendere e di volere.

Non è una persona da punire, è una persona che andava curata e che andrà curata,

ha detto l’avvocato, anticipando la sua strategia difensiva. È probabile che chiederà di sottoporre la 41enne, da oltre dieci anni in cura presso un centro di salute mentale, a una perizia psichiatrica. Se dovesse essere definita “inferma di mente”, la donna potrebbe essere assolta per ciò che ha fatto; in caso di seminfermità mentale, avrebbe diritto, se condannata, a uno sconto di pena, evitando l’ergastolo.

Il caso Alberto Scagni

È successo anche ad Alberto Scagni, il 42enne accusato dell’omicidio della sorella Alice, consumatosi a Quinto, a Genova, il primo maggio del 2022. Per l’uomo, al termine del processo di primo grado, la pubblica accusa aveva chiesto l’ergastolo. Essendo stato riconosciuto seminfermo – per i disturbi di personalità di cui soffre -, i giudici lo hanno però condannato a 24 anni e 6 mesi di carcere.

È ed era “socialmente pericoloso”: i genitori avevano provato più volte a farlo ricoverare dalla Asl locale, chiedendo che venisse fermato. Se fossero stati ascoltati, forse la 34enne sarebbe ancora viva e Scagni non sarebbe stato aggredito. Dopo essere stato trasferito nel carcere di Sanremo e messo in una cella “comune”, era stato infatti preso di mira da due detenuti che, ubriachi, lo avevano colpito brutalmente con sedie e sgabelli, provocandone il ricovero.