Perché in Italia non si fanno più figli? L’intervista esclusiva di Tag24 con Eleonora Cirant, antropologa mediattivista e autrice del libro Una su cinque non lo fa. Maternità e altre scelte, offre uno sguardo penetrante sulle ragioni dietro la crescente tendenza in Italia a rinunciare alla maternità.
Perché in Italia non si fanno più figli? I 3 motivi principali
Attraverso la sua ricerca, l’esperta ci ha guidato attraverso tre dimensioni fondamentali che definiscono la decisione di non fare figli in Italia:
D: Secondo la sua ricerca, quali sono le principali ragioni per cui sempre più italiani scelgono di non avere figli?
R: ” Le ragioni che sono state espresse nella mia ricerca sono di tre ordini.
1. Condizioni economiche: le categorie di quelle donne che decidono di rimandare la maternità perché valutano che non ci sono le condizioni economiche per farlo e quindi perché non hanno un lavoro stabile, o sufficientemente remunerato, oppure non hanno un’abitazione. Quest’ultima è una condizione che è aumentata soprattutto nelle grandi città, dato il caro affitti, ad esempio.
Rincordiamo inoltre che una donna su tre perde il lavoro dopo essere diventata madre.
2. La precarietà delle relazioni di coppia, delle relazioni affettive. C’è difficoltà di trovare un partner stabile e anche una partner stabile, perché oggetto della ricerca e sono stati anche i pareri donne omosessuali. E’ difficile trovare una persona con cui condividere un progetto di lunga durata. Consideriamo che una maternità è per la vita, e che bisogna essere presenti, almeno fin quando la persona a cui si dà la vita non diventa autonoma.
3. La mancanza di interesse per la maternità e il lavoro di cura, per la genitorialità.
Si privilegiano in questo caso altre sfere che riguardano la creatività e la realizzazione personale che possono essere di vario tipo, incluso certamente il lavoro. La mia è stata una ricerca qualitativa, su piccoli numeri. Tuttavia, successivamente ricerche quantitative su scala europea, studi su grandi numeri evidenziano le stesse caratteristiche e le stesse motivazioni.
Come risolvere il calo delle nascite e diminuire il deficit demografico?
L’esperta ci ha fornito suggerimenti per cambiamenti culturali e strutturali per rendere la maternità più accessibile e incentivi per risolvere il calo delle nascite in Italia.
D: Quali cambiamenti culturali suggerirebbe per rendere la maternità più accessibile e accettabile, o accattivante, nella società italiana contemporanea? Se può darci un suo punto di vista antropologico.
R: Sicuramente la maternità in tutte le società è uno status symbol, ovvero, è qualcosa che dà prestigio a chi la sceglie o chi la porta avanti. Nella nostra società è stato possibile parlare di scelta in relazione alla maternità per le donne soltanto a partire dagli anni ’60 e ’70. Ovvero da quando è entrata in uso di massa la contraccezione, da quando le donne sono entrate nel mercato del lavoro, e da quando il femminismo ha comportato una profonda revisione dei ruoli di genere.
Mentre la sessualità femminile e la sua autodeterminazione, quindi la possibilità di scegliere se diventare madri o no, ha provocato forti scossoni nella struttura della famiglie e dell’identità femminile, si registra un maggiore ritardo nel cambiamento del ruolo maschile.
- Ovunque nel mondo laddove le donne hanno più accesso all’ istruzione, più cala il numero di figli. E’ inversamente proporzionale.
Più le donne hanno accesso a strumenti culturali e quindi all’istruzione e alla possibilità di accedere ad occupazioni non domestiche, tanto più scende il numero di figli per donna. E’ una costante. L’accesso all’istruzione consente una maggiore possibilità di scelta. - Nei paesi in cui ci sono politiche di Welfare, in cui quindi lo stato supporta la decisione di maternità con servizi pubblici, viceversa, aumenta il numero di figli. Si è ad esempio ricominciato a parlare di part-time. ll paese trarrebbe sicuramente beneficio se consentisse alle donne e agli uomini di occuparsi nella prole e in generale di chi ha bisogno di cure.
Il lavoro di cura, inoltre non è conteggiato nel PIL (prodotto interno lordo). E’ stato rilevato da alcune economiste femministe come Antonella Picchio e, quindi ci si chiede: perché non facciamo rientrare nel conteggio del PIL anche il lavoro di cura?
Consideriamo che esso è un lavoro produttivo in quanto riproduce le condizioni stesse della vita. Potrebbe essere un modo per quantificarlo e anche per comprendere quanto a livello economico esso va ridistribuito. Sarebbe un metodo efficace per incentivare la scelta della maternità: quello di valorizzarla dal punto di vista economico. - Cambiamento del ruolo maschile e quindi un maggiore impegno da parte degli uomini nel lavoro di cura, nell’accudimento, sicuramente è un elemento che fa aumentare il desiderio di maternità, perché in un progetto condiviso sapere di poter dividere i compiti è sicuramente un incentivo. Deve cambiare l’identità maschile, gli uomini, ma deve anche cambiare il mercato del lavoro che dovrebbe lasciare maggior tempo ad entrambi i generi per dedicarsi al lavoro di cura.
Risposta alle dichiarazioni di Mennuni: “Fare figli era un destino”
Sulla dichiarazione della senatrice Lavinia Mennuni (FDI) che ha definito la maternità “missione,” evidenziando che le persone non sentono più il desiderio e l’aspirazione di avere figli, Cirant offre un’analisi critica.
D: Cosa pensa delle ultime dichiarazioni di Mennuni riguardo al fatto che non è più un’aspirazione diventare genitori. Lei ha parlato di “missione”. Fare figli dovrebbe, secondo il suo punto di vista, tornare ad essere cool.
R: Penso che le sue affermazioni rivelino una certa ignoranza rispetto alle condizioni storiche e sociali in cui avveniva ed avviene anche oggi la genitorialità. In passato non era una missione, ma era per le donne un destino perché storicamente la nostra società è stata impostata su una divisione sessuale del lavoro per cui: le donne in casa ad accudire i figli, le persone anziane e anche i loro mariti, addette a tutto ciò che è lavoro di cura e riproduzione, ma non esonerate da altri lavori come ad esempio il raccolto per le contadine. (L’invenzione della madre che fa solo la madre è 800esca borghese.)
Tuttavia, la divisione delle sfere pubblico-privato sono state sempre rispettivamente maschile-femminile, antica quanto la civiltà greca.
Quindi non la definirei missione, quanto “destino.”
Cool, invece, non è una parola adatta. Sebbene comprenda che per comunicare ad ampio pubblico si faccia uso di parole del linguaggio comune, teniamo presente che non è che prima la maternità fosse cool. La maternità prima era ciò che una donna doveva fare per non essere reietta e relegata dal contesto sociale, a meno che non si facesse suora. Lo facevano senza farsi troppe domande.
Nuovo modo di vivere la cura dei bambini e le migrazioni
Ancora, l’esperta rileva l’importanza di cambiare il modo in cui la società concepisce il ruolo di uomini e donne nella cura, suggerendo poi l’accoglienza delle migrazioni come parte della soluzione:
“Bisognerebbe dare spazio a nuovi modi di essere donna, ovvero modi che non includono necessariamente la cura di bambini e credo che la società sia anche pronta per accogliere uomini che mettano al primo posto, o a pari livello, la ricerca di una genitorialità soddisfacente.
Punterei l’attenzione sul problema del calo demografico. In Italia le persone anziane superano il numero di quello dei nati. Questo è stato rilevato anche dall’agenzia per la popolazione delle Nazioni Unite. Quest’anno l’ultimo report indica delle soluzioni diverse dal semplice spingere la genitorialità enfatizzando la maternità, ma anche e soprattutto nell’accogliere le migrazioni. Lì c’è gran parte di soluzione. La gente che emigra è gente giovane, disposta ad integrarsi e a mettere su famiglia nei nostri paesi. E se lo dice l’agenzia delle Nazioni Unite, possiamo fidarci.”
L’intervista di Tag24 a Eleonora Cirant fornisce una profonda riflessione su un tema cruciale, aprendo spazi di dialogo per cambiamenti culturali e sociali necessari per comprendere e rispondere alle sfide attuali legate alle scelte di maternità.