Franz Beckenbauer è Italia-Germania di Messico 1970. È Germania-Olanda del Mondiale di casa 1974 all’Olympiastadion di Monaco di Baviera. E ancora è Germania-Argentina del 1990, Italia’90, la partita con cui suggellare una vita intera: campione del mondo da giocatore e da allenatore. Da giocatore, il Kaiser è stato eleganza, tattica e un esempio di caparbietà oltre la concezione umana e sportiva del termine. Da allenatore, ha sublimato gli insegnamenti di una scuola quadrata, concreta; l’unico “fronzolo” quel motivo colorato sulle bellissime maglie della nazionale della Germania tra la fine degli anni ’80 e i ’90.
La morte di Franz Beckenbauer, il suo racconto attraverso tre partite iconiche
Il calcio è un gioco semplice: 22 giocatori corrono dietro a un pallone per 90 minuti e poi vince la Germania.
Il vecchio e famosissimo adagio dell’inglese Gary Lineker sembra tagliato al millimetro per Beckenbauer. Da giocatore e allenatore. Ci pensò l’Italia di Ferruccio Valcareggi nel ’70 a mettere in crisi quella che per molti era semplicemente una legge naturale, l’ovvia vendetta della Germania Ovest sconfitta nella finale dei Mondiali 1966.
Agli azzurri servirono 120 minuti di calcio mai visto, cuore e sangue pulsante prima ancora di tattica e pedate da distribuire con parsimonia e precisione. Beckenbauer, da par suo, consegnò letteralmente una spalla. La destra, lussata al 66′, e con i cambi finiti. Una fasciatura che nemmeno in un reparto di ortopedia, garze bianche intrecciate dietro il leggendario numero 4 e lui lì, in campo. Servì la più grande impresa nella storia del calcio italiano per rovinare la notte ai tedeschi. A quei tedeschi “vestiti” alla Beckenbauer.
La gloria sconfiggendo due leggende come Cruijff e Maradona
La sconfitta in semifinale, il dente avvelenato, le pile da ricaricare in un amen. Per vincere il seguente Europeo del 1972 e sfidare ufficialmente l’Olanda di Cruijff ai Mondiali del 1974. Non prima di soccombere però, al cospetto di Sparwasser, nel “derbyssimo” contro la Germania Est.
Oltre all’Olanda, in quella finalissima nel pomeriggio di cinquant’anni fa all'”Olympiastadion” di Monaco di Baviera, in campo entrò anche la paura. E i fantasmi. Soprattutto dopo quel rigore di Neeskens a 2 minuti dal calcio d’inizio. Pareggio di Breitner alla mezz’ora, 2-1 di Muller prima di entrare negli spogliatoi tra primo e secondo tempo. Al 90′, la coppa più bella fu della Germania.
Dal 14 dell’olandese Cruijff al 10 dell’argentino Maradona. Il sigillo di Italia ’90 arrivò affrontando di petto un altro fuoriclasse, fischiato dal pubblico di Roma in una notte che passerà alla storia anzitutto per l’extracalcio. Alla storia passarono anche gli sbadigli di una finale che più finale di quella, per noia, c’è solo una tonsillectomia. E il rigore a 5 minuti dalla fine di Brehme, metallurgia al potere. Mario Zagallo, Franz Beckenbauer, poi sarebbe arrivato Didier Deschamps: gli unici campioni del mondo da giocatore e da allenatore.
Dopo Germania-Argentina, dopo essere entrato alla storia, dopo aver alzato la coppa e ringraziato i suoi giocatori, il Kaiser salutò tutti e si mise a passeggiare tranquillo lungo il perimetro del campo. Un passo dopo l’altro, riprendere il respiro. Anche il Kaiser ha bisogno di riposarsi.