A garantire la sicurezza di una blockchain sono i nodi. Il motivo è da individuare nel fatto che proprio ad essi è affidato il delicato compito di ospitare le copie della catena di blocchi e coadiuvare nello svolgimento di una serie di compiti i quali sono fondamentali affinché la rete funzioni in maniera ottimale.

I nodi, però, hanno un problema di non poco conto. Con l’aumentare delle dimensioni della blockchain che sono chiamati a servire, infatti, aumenta la dimensione delle informazioni e, di conseguenza la richiesta di spazio su disco. Tanto da rendere sempre più complicato assolvere al delicato compito.

Per cercare di dare una risposta a questa necessità, gli sviluppatori hanno condotto una serie di esperimenti, dai quali sono emersi in particolare i cosiddetti pruned node. In questa breve guida andiamo a vedere cosa siano e come funzionano.

Pruned node: di cosa si tratta?

Per pruned node, in italiano nodo ridotto o prunato, si intende quello che è chiamato a mantenere soltanto una frazione dei dati della blockchain che è invece ospitato da un full node standard. In pratica, provvede a salvare soltanto una parte della storia della blockchain, mantenendo un numero massimo di blocchi completi e scartando gli altri, “potando” in definitiva la rete.

Il primo vantaggio di questo accorgimento è da individuare nel fatto che in tal modo un maggior numero di persone potranno avere il loro nodo, contribuendo ad aumentare in maniera decisiva la sicurezza della rete. Il pruned node, quindi, assolve ad un compito chiave come quello della decentralizzazione.

Per creare un pruned node non sono necessarie competenze tecnologiche di grande rilievo. Basta in effetti utilizzare il software Bitcoin Core, a partire dalla versione 0.11 e avere a disposizione 2 B di spazio di archiviazione per poterne implementare uno. Grazie a queste basi è possibile assumere la veste di verificatore di informazioni sulla blockchain di Bitcoin, senza grandi complicazioni.

Bitcoin, peraltro, non è l’unica catena che soffre di questo problema, il quale riguarda anzi molte tecnologie basate su DAG e DLT, a partire proprio da Ethereum. I pruned node, peraltro, nonostante memorizzino soltanto una parte della rete, non presentano alcun problema in fase di verifica. Una caratteristica che ne sta affrettando l’adozione da parte di molte reti.

Come funziona un pruned node?

Quando si affronta il discorso dei pruned node, il termine che ricorre all’interno della discussione è “potatura”. Per tale si intende in buona sostanza la riduzione delle dimensioni della blockchain ad un livello tale che il registro nonostante le dimensioni limitate abbia comunque una certa affidabilità.

L’immagine che viene mostrata negli esempi sui pruned node rende la blockchain molto simile ad un albero, provvisto di un gran numero di rami e foglie, tutti collegati tra di loro. La relazione che si viene ad instaurare in questo caso, consente di dare luogo ad una vera e propria storia della blockchain, in particolare risalendo a tutte le operazioni avvenute all’interno della rete, a partire dal cosiddetto genesis block, il primo in assoluto.

Il problema che si pone, in questo caso, è che l’albero, come avviene per quelli reali, tende ad assumere dimensioni sempre più grandi. In tal modo, prima o poi rende praticamente impossibile la memorizzazione di tutte le sue informazioni.

Per bypassare il problema, si può però decidere di avere delle copie ridotte della blockchain, limitate agli ultimi anni. Per poterlo fare, sarà necessario potare le sue ultime ramificazioni e usarli al fine di dare vita ad un albero il quale inizierà la sua storia da quel punto specifico. L’albero copia frutto di questo processo, avrà le foglie iniziali in grado di confermare la storia dell’albero genitore, ovvero della blockchain originale, per poi proseguirla proprio dal punto in cui è avvenuta la potatura. Da quel momento albero originale e copia saranno esattamente gli stessi.