Ha sporto denuncia per istigazione al suicidio, Roberta Faraglia, la madre di Matteo Concetti, morto a 25 anni nel carcere Montacuto di Ancona la sera del 5 gennaio scorso. Il suo sospetto è che qualcuno possa averlo indotto a farla finita dopo averlo messo in isolamento: essendo malato psichiatrico avrebbe dovuto ricevere delle cure che invece gli erano negate e, con il tempo trascorso in cella, non aveva fatto altro che peggiorare, preannunciando il suicidio.
La denuncia della madre di Matteo Concetti, morto in carcere ad Ancona
“Se mi portano di nuovo giù mi impicco. Ho paura”, aveva detto il 25enne alla madre nel corso del loro ultimo incontro in carcere, avvenuto la mattina del 5 gennaio scorso. Poche ore dopo Matteo Concetti sarebbe stato trovato impiccato nel bagno della sua cella di isolamento, nel seminterrato della struttura penitenziaria di Montacuto, ad Ancona.
In carcere si trovava per reati contro il patrimonio: avrebbe dovuto scontare altri otto mesi, poi sarebbe tornato in libertà. Da tempo, però, chiedeva di essere portato in ospedale o in una clinica: per i suoi problemi psichici avrebbe dovuto ricevere delle cure che invece gli erano negate.
Fino all’ultimo ha continuato a urlare che si sarebbe ammazzato – denuncia ora la madre Roberta al Corriere della Sera -. C’era anche un’infermiera del Sert. L’ho supplicata di aiutarmi, di chiamare un medico, di metterlo in sicurezza, di fargli un Tso. Ho chiesto di parlare con il direttore. Niente.
I problemi sarebbero iniziati proprio nel carcere di Ancona, dove Matteo era arrivato a novembre dopo aver goduto di un regime alternativo e aver trascorso un periodo di tempo a Fermo. L’accusa della sua famiglia, che ora reclama verità e giustizia, è che sia stato lo Stato ad ammazzarlo, non avendogli garantito un’adeguata protezione.
Le dinamiche della morte
Il loro obiettivo è anche riuscire a capire come il ragazzo si sia tolto la vita.
Vorrei capire dove si è impiccato, visto che era alto e palestrato e nella cella non c’è né un lavandino, né un termosifone. Come si può impiccare un detenuto in isolamento, dove non si dovrebbe avere niente, neanche i lacci delle scarpe? E invece mi hanno ridato le sue scarpe con i lacci e infangate. Ma com’è possibile visto che non poteva andare da nessuna parte?,
sono le parole della madre, che non riesce a capacitarsi del fatto che il 25enne si trovasse in isolamento nonostante i suoi problemi. Una questione su cui si era parlato anche in relazione al caso di Alberto Scagni, il 42enne finito in carcere per aver ucciso la sorella Alice a Quinto, brutalmente aggredito da due compagni di cella ubriachi a Sanremo.
La versione ufficiale è che ci sia finito dopo essersi scagliato contro un agente al culmine di una lite. Secondo la madre è più probabile che nei confronti del figlio sia stata orchestrata una sorta di “vendetta”: insieme ad altri detenuti il giovane aveva deciso di protestare per le condizioni del carcere, dopo essere stato costretto a bere acqua non potabile, sentendosi male.
Le gravi condizioni delle carceri
Secondo il dossier “Morire di carcere” di Ristretti Orizzonti, nel solo 2023 ben 68 detenuti si sarebbero tolti la vita in carcere. A far parlare, negli ultimi tempi, è stata soprattutto la struttura di Montorio, nel Veronese, dove, in meno di un mese, tra novembre e dicembre, si sono registrati tre suicidi, di cui due in un certo senso preannunciati.
A denunciarlo è stata l’associazione Sbarre di zucchero, che più volte, nelle scorse settimane, ha puntato il dito contro i presunti favoritismi concessi al “detenuto vip” Filippo Turetta, estradato in Italia dopo essere stato fermato in Germania per l’omicidio aggravato dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin, consumatosi a Vigonovo la sera dell’11 novembre scorso.
Il riferimento è al fatto che, trovandosi nel reparto infermeria, il 22enne di Torreglia abbia avuto accesso, fin dai primi istanti del suo ingresso in carcere, a libri, tv e videogiochi, mentre altri detenuti altrettanto fragili (perché malati o a rischio atti autolesionistici) vivono in celle di isolamento, “con le mura imbrattate di escrementi”.
Condizioni inaccettabili, cui si aggiungono i problemi strutturali e di personale che da tempo affliggono la struttura di Verona e non solo, rendendo ancor più precarie le situazioni di quanti sono reclusi.