La costruzione di solide reti decentralizzate è un vero e proprio imperativo, per le aziende operanti in ambito blockchain. Proprio dalla presenza di un gran numero di nodi e utenti, in effetti, va a dipendere la reputazione di un network e la sua capacità di attrazione nei confronti di chi vede nel decentramento un assunto irrinunciabile.

Per riuscire nell’intento, e calamitare un gran numero di persone interessate a partecipare all’ecosistema, esistono vari metodi. Tra di essi anche il lockdrop, che ricalca per alcuni versi il già noto airdrop. Anche in questo caso, infatti, vengono donati token, con una sostanziale differenza: chi li riceve deve dimostrare di essere realmente interessato al nuovo progetto.

Lockdrop: di cosa si tratta?

Per lockdrop si intende una tecnica di distribuzione di token condotta dalle DAO (Decentralized Autonomous Organization) o da aziende in fase di lancio nella criptosfera. L’operazione è molto simile a quella che caratterizza gli airdrop, ma vanta anche una sostanziale differenza: i gettoni virtuali, infatti, sono concessi soltanto a chi dimostra un reale coinvolgimento nel nuovo progetto, bloccando propri token.

Quindi, per poter partecipare ad un lockdrop, occorre mettere in deposito la propria criptovaluta, si tratti di Bitcoin, Ethereum o altro token, per un periodo prefissato. Una volta terminato questo periodo di blocco, gli interessati riavranno indietro i token bloccati e quelli del nuovo progetto di cui hanno maturato il diritto. La donazione, naturalmente, sarà proporzionale al quantitativo di criptovaluta bloccata.

Occorre anche sottolineare come nel periodo in questione, i gettoni bloccati non sono sottoposti a staking o burning. Sono infatti conservati all’interno di uno smart contract, in modo da soddisfare le condizioni necessarie per avere il premio collegato al lockdrop. L’unico rischio che corrono, quindi, è quello legato alle dinamiche del mercato.

Lockdrop e airdrop: quali le differenze?

Abbiamo appena visto cosa sia, all’atto pratico, un lockdrop e come ricordi, per alcuni versi, il classico airdrop. Tra queste due tecniche, però, ci sono anche alcune divergenze di non poco conto. In particolare, è diverso l’intento di fondo: l’airdrop può essere considerato una tecnica di marketing di base, tendendo semplicemente a far conoscere una soluzione che sta muovendo i suoi primi passi, il lockdrop si propone invece di radunare una comunità.

Come dovrebbe essere noto, proprio il potersi appoggiare ad una comunità è stato il motore di alcuni dei più noti progetti esistenti. Si pensi a Dogecoin, ad esempio, che proprio dal continuo appoggio dei suoi sostenitori ha dato vita ad una cavalcata entusiasmante nel corso degli anni.

Non tutte le aziende crypto, però, possono contare sulla perenne campagna pubblicitaria a costo zero assicurata a DOGE da Elon Musk. Per bypassare questa difficoltà iniziale si devono cercare altre soluzioni e il lockdrop può essere una buona risposta in tal senso. La necessità di mettere in deposito token, rischiando che nel periodo di blocco il loro valore aumenti in maniera esponenziale senza poterne approfittare in sede di compravendita, o crolli senza che si possano scansare le conseguenze, può essere affrontato soltanto da chi abbia vagliato con attenzione la nuova proposta e ne ravvisi le basi per una effettiva crescita futura. Occorre cioè credere nel progetto e trasformarsi in una sorta di evangelista, rischiando anche da un punto di vista finanziario. Tutto ciò nell’airdrop non accade.

Quali sono i vantaggi del lockdrop?

Naturalmente, prima di optare per un lockdrop, le aziende interessate valutano bene i pro e i contro di una simile iniziativa. Per quanto riguarda i primi, possiamo dire che proprio la possibilità di radunare una folta comunità interno alla nuova criptovaluta deve essere considerato il più evidente.

Spesso, infatti, per far uscire dall’anonimato progetti che pure sembrano ben costruiti, ci vogliono anni. Il motivo è facilmente comprensibile: in un panorama che vede la presenza di migliaia di soluzioni nessuno si prende la briga di andare a studiare caratteristiche e potenzialità di ognuno di essi. Deve essere la società proponente a farsi conoscere, come accade per le aziende che operano nel marketing tradizionale.

Si tratta, di conseguenza, di una campagna promozionale, a tutti gli effetti, con costi che possono rivelarsi molto inferiori a quelli necessari per una in grande stile. E, soprattutto, con un focus ben definito, senza sparare nel mucchio, ovvero su coloro che sono realmente interessati.

Per chi partecipa, il vantaggio è quello di ricevere un premio provvedendo a bloccare per il periodo concordato un quantitativo minimo di valuta virtuale. Mentre il rischio è quello derivante da possibili e violenti movimenti del mercato nel periodo di blocco. Pro e contro che andrebbero attentamente considerati, prima di aderire ad un lockdrop.