Nel lontano 1966, presso l’Artificial Intelligence Lab del MIT a Boston, Marvin Minsky, fondatore del laboratorio e docente di Matematica, prospettò a Gerald Jay Sussman, suo allievo, l’idea di indagare se fosse possibile istruire una macchina a “vedere” collegando una videocamera a un computer. L’esperimento, narrato in dettaglio da Simone Arcagni nel libro “L’occhio della macchina” (Einaudi), sembra oggi ingenuo, concepito come se il semplice collegamento tra un “cervello elettronico” (il computer) e un “occhio elettronico” (la videocamera) potesse generare un sistema informatico capace di vedere.
Tuttavia, questa prova è in linea con la concezione che Minsky aveva dell’intelligenza umana e, di conseguenza, della strada da percorrere per dotare i sistemi informatici di caratteristiche umane. Secondo Minsky, e anche secondo Seymour Papert, collega di ricerca di informatica e pedagogia, non esiste una netta distinzione tra l’essere umano e le macchine. Nella loro visione, gli esseri umani sono essenzialmente “macchine biologiche”, con cervelli composti da innumerevoli “agenti” semiautonomi, ma che di per sé non sono intelligenti. L’intelligenza, semplificando, deriva dalle connessioni tra questi agenti e le azioni che compiono.
Questa teoria, successivamente elaborata nel cruciale testo “La società della mente”, era già presente nelle riflessioni di Marvin Minsky molto prima dell’esperimento per conferire la vista alle macchine. Essa influenzò direttamente un evento pionieristico, avvenuto dieci anni prima dell’esperimento, nello studio dell’intelligenza artificiale.
Chi era Marvin Minsky?
Nato nel 1927 a New York, Marvin Minsky, figlio di Henry Minsky, chirurgo oculare, e Fannie Reiser, attivista sionista, manifestò fin da giovane un forte interesse per le scienze e, in particolare, per l’elettronica. Approfondì i suoi studi presso la Bronx High School of Science e successivamente alla Philips Academy nel Massachusetts. Dopo un periodo trascorso nella Marina durante la Seconda Guerra Mondiale, Minsky intraprese gli studi in Matematica ad Harvard, dove conseguì il dottorato a Princeton.
Nonostante una carriera accademica prestigiosa, l’approccio matematico non colmava appieno la sua sete di conoscenza. Minsky era affascinato da altri ambiti, ma non riusciva ancora a trovare quello giusto. Non era la genetica, che riteneva interessante ma non abbastanza approfondita. Non era nemmeno la fisica, che trovava solo moderatamente attraente. Infine, Minsky individuò il suo vero interesse per il resto della vita: l’intelligenza stessa e i suoi enigmi “profondamente intriganti”, come confessò al New Yorker nel 1981: “Non riesco più a immaginare nulla di più significativo da fare”.
L’Intelligenza Artificiale secondo Marvin Misky
L’intelligenza, come concetto, non si limita allo studio dell’intelligenza umana. John McCarthy, collega di Minsky a Princeton, nel 1956 radunò diverse menti, tra cui Minsky stesso, al Dartmouth College nel New Hampshire per un progetto apparentemente modesto: realizzare un’intelligenza artificiale. Fu in quell’occasione che fu coniato il termine “intelligenza artificiale”. Il loro intento era studiare come ogni aspetto dell’apprendimento o qualsiasi caratteristica dell’intelligenza potesse essere descritta in modo preciso per costruire una macchina in grado di simularla. Il progetto mirava a creare una macchina capace di usare il linguaggio, generare astrazioni e concetti, risolvere problemi umani e auto-migliorarsi.
Sebbene il loro sforzo fosse ambizioso, la loro previsione di completare il progetto in pochi mesi fallì. Nonostante il fallimento, Marvin Minsky mantenne un ottimismo invariato negli anni Settanta, affermando che in tre o otto anni sarebbe stata sviluppata una macchina con un’intelligenza pari a quella umana media. Questa macchina, secondo le sue affermazioni, sarebbe stata in grado di leggere Shakespeare, eseguire manutenzione su un’auto, gestire questioni aziendali, raccontare barzellette e persino litigare. Minsky credeva che la macchina, a quel punto, avrebbe iniziato a istruirsi da sola a una velocità straordinaria, raggiungendo il genio in pochi mesi e potenziando i suoi poteri in modo inimmaginabile.
Tuttavia, l’entusiasmo di Minsky ha spesso generato aspettative irragionevoli sull’intelligenza artificiale. Nel 1969, insieme a Seymour Papert, Minsky pubblicò “Perceptrons”, un lavoro critico nei confronti del Perceptron di Frank Rosenblatt, un pioniere dell’IA. Questo libro dimostrava matematicamente le limitazioni delle reti neurali nell’eseguire solo operazioni elementari, indicando che non potevano gestire compiti più complessi. Questa critica di Minsky al lavoro di Rosenblatt ha portato alla fine di molti studi sulle reti neurali, provocando ciò che è stato chiamato “l’inverno dell’intelligenza artificiale”.
Minsky preferiva un approccio “creazionista” all’intelligenza artificiale, basato su regole e strutture simboliche, piuttosto che sull’apprendimento autonomo. Questo modello simbolico ha dato risultati significativi, come l’insegnamento ai computer di giocare a scacchi, ma non ha portato alla rivoluzione attuale dell’IA, basata principalmente sui progressi del deep learning, un campo di ricerca che Minsky aveva ostacolato per decenni.
Tuttavia, il contributo di Minsky al campo dell’IA non può essere ignorato. Ha dato contributi fondamentali nella psicologia cognitiva, nella matematica simbolica, nella robotica e nella visione artificiale. Prima di ribaltare il suo approccio, Minsky aveva creato lo Snarc, considerato il primo esempio di rete neurale, e aveva fondato un laboratorio sull’IA famoso per la creazione di modelli di percezione e intelligenza umana, prototipi robotici e una mano robotica con sensori tattili.
Geoff Hinton è stato fondamentale nel superare le limitazioni del lavoro di Minsky, riprendendo gli studi di Rosenblatt. Negli anni ’80, Hinton, come giovane professore alla Carnegie Mellon, ha dimostrato come le perplessità di Minsky potessero essere superate attraverso un complesso sistema di neuroni artificiali a più livelli. Collaborando con Yann LeCun nel 2006, ha sviluppato il deep learning. Questo ha portato a risultati che oggi sono diventati evidenti, come il riconoscimento delle immagini e la comprensione del linguaggio naturale. In modo ironico, il progetto di Andrew Ng in questo campo è stato chiamato “Progetto Marvin”.