L’articolo 27 della Costituzione italiana dice: “La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”. A Firenze c’è un carcere, Sollicciano, dove il trattamento è contrario al senso di umanità. Ormai lo dicono tutti. Giuseppe Fanfani, garante dei detenuti della Toscana, non è sorpreso quando legge il provvedimento del tribunale di sorveglianza di Firenze che ha accolto il ricorso di un detenuto di 58 anni, peruviano, condannato per omicidio e applicato uno sconto di pena di 312 giorni sulla base dell’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, laddove si proibisce “la tortura e il trattamento o pena disumano o degradante”.

Per il giudice di sorveglianza “trattamento inumano e degradante”

Per Fanfani “la motivazione del provvedimento è ineccepibile, è un esame analitico delle insufficienti qualità della struttura e di tutte le sue carenze che, messe in rapporto con la durata e il tipo di detenzione del soggetto in questione, violano i diritti dell’uomo”. Sono state rilevate cimici nei letti e segni dei loro morsi sulle braccia dei detenuti, muffa, pareti che si scrostano e dimensioni delle celle sotto gli standard richiesti dalla Convenzione per i diritti dell’uomo. Il magistrato di sorveglianza, Maria Elisabetta Pioli, nel suo provvedimento ha parlato di “trattamento inumano e degradante” dei detenuti di Sollicciano, un carcere a due passi da Firenze, dove il 30 novembre del 1786 il granduca Pietro Leopoldo abolì la pena di morte, primo stato al mondo. E oggi?

Stefano Bisi