Espianto d’organo, dal donatore al ricevente. Ne parliamo nella rubrica “Non solo trentatré”, curata dai Prof. Claudio Loffreda-Mancinelli ed Enrico Ferri, con il Professor John Paris, MD, MMM.
Cardiochirurgo. Responsabile per l’approvvigionamento di organi toracici Corewell/Spettro. Cardiochirurgo presso il Riverview Hospital e il St. Vincent Hospital, Indianapolis. Si è laureato in Medicina e specializzato in Chirurgia Generale e Cardiochirurgia presso la Indiana University Medical School. Master in Medical Management presso la Carnegie Mellon University, Pittsburgh. Direttore Medico Riverview Health.
Espianto d’organo
In Italia la rete che coordina le attività di prelievo e trapianto è attualmente concepita su quattro livelli: locale, regionale, interregionale e nazionale. Una entità molto simile alla statunitense UNOS – United Network of Organ Sharing –
Il livello nazionale, denominato Centro Nazionale Trapianti, monitorizza prelievi e trapianti eseguiti, le liste dei pazienti in lista di attesa, la manifestazione di volontà dei cittadini e il livello qualitativo dei risultati. Controlla inoltre i criteri e le procedure per l’assegnazione degli organi.
Il centro ha sede presso l’Istituto Superiore di Sanità.
D: Professor Paris può spiegarci le tappe fondamentali per i trapianti d’organo?
R: Il processo di abbinamento ad un potenziale ricevente può iniziare una volta accertata la morte cerebrale, ma con tutte le altre funzioni ancora intatte (cuore, polmoni, fegato, reni ancora funzionanti) di individui registrati come donatori, o tali per volontà della famiglia.
D: In che cosa consiste questo processo? Quali sono le valutazioni o restrizioni da prendere in considerazione?
R: – Il gruppo sanguigno è il primo fattore da valutare. Si applicano le stesse regole di una trasfusione di sangue.
- – Dimensioni dell’organo: soprattutto per cuore e polmoni, meno per fegato e quasi irrilevante per i reni. Per i polmoni la migliore analogia è che non si può mettere un pallone grande in una piccola scatola. Per il cuore vale lo stesso concetto, in più dovremo anche valutare la prestazione che dovrà fornire. Mi spiego meglio, un cuore troppo piccolo non sarà in grado di funzionare adeguatamente in un uomo corpulento.
- – HLA crossmatch (antigeni dei linfociti umani), tipizzazione tessutale o test di istocompatibilità. Questo test fornirà i valori di alcuni antigeni presenti in ogni individuo. È in pratica una tecnica per perfezionare la migliore compatibilità tra donatore e ricevente e per prevedere un tasso di rigetto inferiore.
- – L’età, in una certa misura. Ad esempio, un cuore giovane, che il più delle volte ha funzionato in condizioni pressorie normali, non rappresenta necessariamente la miglior scelta per un paziente con una storia di ipertensione polmonare, quindi un aumento delle pressioni a livello di ventricolo destro. In questo caso un cuore di un donatore di 30 o più anni, con pareti ventricolari più spesse può rispondere meglio alle nuove condizioni emodinamiche che dovrà affrontare.
- –Tempo. Ogni organo presenta una finestra temporale definita, in cui rimarrà vitale, in cui potrà essere utilizzato. Questa finestra è generalmente di 4 ore per il cuore, 8-10 ore per il fegato, 10-12 ore per i polmoni e fino a 48 ore per i reni. Si parla in questi casi di tempo ischemico freddo, cioè il tempo trascorso dal momento in cui l’organo viene isolato dal corpo del donatore al momento in cui viene inserito nel nuovo paziente. Questi valori sono indicativi a patto che venga utilizzato un corretto metodo di conservazione. Per prolungare questi tempi possono essere utilizzati anche appositi dispositivi che utilizzano soluzioni ossigenate o sangue ossigenato. Chiaramente minore è il tempo ischemico, meglio è.
- – Paziente: I malati più gravi e che si trovano da molto tempo in lista di attesa, avranno precedenza.
- – Distanza. E quindi modalità di trasporto e tempistica tra donatore e ricevente.
Perché non tutti donano gli organi
D: Quali sono le motivazioni che limitano una persona dal diventare donatore?
R: Probabilmente la scarsa conoscenza del sistema e, inconsciamente, il dubbio se essere veramente morti quando i nostri organi verranno espiantati.
Ogni paziente che viene ricoverato in ospedale in condizioni gravi o disperate viene trattato come vitale, come qualcuno che sopravviverà, finché non sarà chiaro l’inverso. L’idea che la cura di un paziente possa essere meno valida o essere influenzata dalla necessità di organi è falsa, immorale, e assolutamente infondata.
Tutti i pazienti, anche i più critici, con una minima possibilità di sopravvivenza, sono sempre trattati utilizzando tutte le risorse disponibili. L’obiettivo del medico è che ogni paziente, anche qualora abbia una sola possibilità di sopravvivenza, sopravviva. Solo quando tutte le terapie e le procedure non avranno fornito i risultati sperati e sarà subentrata una situazione irreversibile, si potrà considerare il paziente come possibile donatore di organi.
D: Ma come ci accertiamo che un paziente sia veramente morto?
- R: – Esame clinico: È la prima cosa da fare e dovrà confermare: assenza di riflessi del midollo spinale, assenza di funzioni cognitive, assenza di funzioni respiratorie spontanee. In altre parole: il paziente non presenta riflessi a qualsiasi tipo di stimolo, anche dolorifico, è in uno stato di coma profondo irreversibile, non ha respirazione spontanea. Questo esame clinico deve essere ripetuto due volte da diversi esaminatori, in nessun modo correlati al processo del trapianto.
- – Esame neurologico, e in particolare uno studio del flusso nucleare. Se non c’è un flusso significativo al cervello, quella persona è cerebralmente morta.
- – Test di apnea, con misurazione sequenziale della pCO2 (anidride carbonica). Dopo una vigorosa ventilazione meccanica, si riscontra mancanza di respirazione spontanea e un aumento della anidride carbonica con valori da 30 a 70, in un tempo di 5 minuti. Questo quadro è indicativo di morte cerebrale.
Se un paziente soddisfa questi 3 criteri, anche l’approccio più conservativo definirebbe la persona come cerebralmente morta. Una volta che ciò è avvenuto, il protocollo di morte cerebrale è completo, gli organi vengono assegnati, e vengono allertate le equipe responsabili per gli espianti.
Con sorpresa forse di alcuni, dobbiamo confermare che l’EEG, o elettroencefalogramma, non è un test molto utile o affidabile. Troppi varianti/artefatti possono essere presenti, come un’attività elettrica di base che non è indicativa della funzione cerebrale (cognitiva).