Molestie, discriminazioni basate sul genere, intimidazioni e violenze piscologiche: sono questi gli elementi più frequenti che emergono dalle testimonianze rese da tante professioniste del mondo sanitario (dottoresse, infermiere e specializzande) che hanno deciso di denunciare gli abusi e le prevaricazioni subite nel corso del proprio percorso professionale.
Già ribattezzato come il «Me Too delle donne in camice bianco», lo scandalo delle molestie in corsia è emerso grazie al lavoro di Mammeanudo, attivista contro la violenza ostetrica, che per prima ha raccolto le esperienze delle professioniste sanitarie italiane, in protesta contro un sistema ritenuto discriminante e violento.
Molestie e discriminazioni in corsia, le testimonianze di dottoresse, infermiere e specializzande
Dagli episodi denunciati dalle dottoresse, dalle infermiere e dalle specializzande italiane in risposta all’appello di Mammeanudo emerge, infatti, non solo la persistente discriminazione delle donne in quanto madri – o possibili madri – da assumere o meno in base alla loro predisposizione alla genitorialità, ma anche un sistema di insulti sessisti, battute di cattivo gusto e vere e proprie molestie da parte dei colleghi uomini, pronti anche a dispensare giudizi sulle specializzazioni mediche più adatte all’ “essere donna”.
La redazione di TAG24 ha chiesto un parere su queste importanti denunce a Lucilla Boschero, segretario generale Cisl Medici Lazio, in questa intervista esclusiva.
Molestie e discriminazioni in corsia, Boschero (Cisl Medici Lazio): “Problema che esiste, anche se in misura minore rispetto al passato”
Dottoressa Boschero, nei giorni scorsi tante professioniste del mondo sanitario hanno denunciato di aver subito, nel corso della loro carriera, discriminazioni e violenze. Anche l’immunologa Antonella Viola ha raccontato di aver subito molestie. Cosa ne pensa?
«Sicuramente penso che sia giusto reagire agli atteggiamenti sessisti, rimarcando sempre le frasi inopportune e denunciando le molestie. Il problema descritto purtroppo esiste, anche se in misura minore rispetto agli anni passati: anche la professoressa Viola, nella sua testimonianza, si riferisce infatti a tempi più remoti.
Oggi fortunatamente ci sono tante donne nelle nostre corsie e sono più le dottoresse dei dottori. Sicuramente in passato la cultura maschilista si faceva sentire con forza, in particolare nelle università dove in tanti abbiamo avuto a che fare con quei “baroni” che pensavano di poter dire e fare tutto. Queste prevaricazioni esistono ancora oggi, magari nei confronti degli specializzandi, siano essi ragazzi o ragazze.
Con questo non voglio negare che la mentalità maschilista sia presente: tuttavia penso e spero che oggi le colleghe abbiano più forza e più strumenti per reagire».
Me Too dei camici bianchi, Boschero (Cisl Medici Lazio): “Le colleghe devono reagire già alle prime battutine”
Nell’ambito delle professioni medico sanitarie ancora esiste una cultura maschilista?
«Alcuni colleghi, specialmente quelli più anziani, portano avanti questo retaggio a causa di una educazione totalmente sbagliata. Oggi però credo la situazione sia diversa, se non nelle università almeno nelle strutture sanitarie dove le colleghe donne sono più numerose dei colleghi uomini.
Quello che è fondamentale è divulgare il principio per cui è fondamentale reagire sempre di fronte questi atteggiamenti. Come nel campo della tutela degli infortuni dobbiamo seguire lo schema piramidale per il quale le procedure sbagliate devono essere bloccate subito, ancor prima di arrivare all’infortunio. Nel caso delle molestie e delle prevaricazioni, alla base della piramide ci sono le battutine e gli atteggiamenti sbagliati che vanno subito stigmatizzati, perché tollerare può portare a un’escalation di violenza verbale e fisica inaccettabile.
Ricordo poi che tutte le aziende hanno per legge l’obbligo di prevenire questi atteggiamenti sia mediante la valutazione del rischio sia tramite i protocolli per la gestione dei rischi psicosociali».
Violenza contro il personale medico, Boschero (Cisl Medici Lazio): “Le colleghe donne le più colpite”
Il sistema di tutele che ha appena descritto è, se implementato correttamente, sufficiente nel prevenire gli episodi di mobbing o di molestie?
«Come dicevo è fondamentale che ci sia un approccio concreto da parte delle aziende. Dall’altro lato ci deve essere un atteggiamento delle donne lavoratrici che, magari facendo squadra con le altre colleghe, devono imparare a difendersi da situazioni di maschilismo radicato».
Troppo spesso si sente parlare di violenze contro il personale medico. Per una dottoressa o un’infermiera gli ospedali sono luoghi sicuri?
«Se guardiamo le statistiche sul rischio di violenza da terzi (dunque i pazienti o i loro familiari) vediamo che le donne subiscono più violenze dei loro colleghi e che normalmente gli aggressori sono uomini.
Sotto questo punto di vista serve che le aziende rafforzino le barriere, installando telecamere nei parcheggi affinché questi siano illuminati, prevedendo bottoni per chiedere aiuto in modo rapido. Allo stesso tempo, poi, per gli operatori e le operatrici è fondamentale conoscere e applicare le tecniche per la gestione dei pazienti violenti».