Beam è una privacy coin, ovvero una valuta virtuale che si propone di conseguire il massimo di riservatezza per chi la utilizza. Sino a lambire in maniera pericolosa la zona di confine con l’anonimato. Tanto da aver spinto un gran numero di scambi centralizzati a togliere il token dal proprio paniere di offerte, per non incappare in problemi con le autorità di sorveglianza dei mercati finanziari. Andiamo perciò a conoscere più da vicino un progetto molto controverso.

Beam: di cosa si tratta?

Come ricordato in avvio, Beam è una privacy coin. Rientra cioè in quel novero di progetti che vanta Monero come suo campione e si prefigge di garantire transazioni sicure e riservate allo stesso tempo.

Per ottemperare al suo proposito, utilizza un vero e proprio mix tra due protocolli blockchain orientati in tal senso: MimbleWimble e Lelantus. Il primo, in particolare, è un meccanismo già molto noto, tanto da essere stato implementato anche da Litecoin e Grin.

Grazie alla loro adozione, Beam è in grado di nascondere ogni informazione sulle parti interessate nell’ambito di una transazione, a partire dagli indirizzi dei wallet e dagli importi in ballo. Il tutto senza che venga sacrificata in alcun modo l’efficienza del sistema.

La blockchain ha inoltre adottato come meccanismo di consenso il Proof-of-Work. In conseguenza di ciò, è stata leggermente sacrificata la decentralizzazione in favore della sicurezza. Come accade per Bitcoin, le ricompense spettanti ai minatori vengono dimezzate ogni quattro anni. Se nel periodo dal 2019, anno del suo lancio, al 2023 il premio era di 40 BEAM per ogni blocco aggiunto, nel nuovo anno si dimezzerà a 25.

Il suo funzionamento prevede non solo l’oscuramento delle informazioni, ma anche la creazione di nuovi indirizzi per ogni nuova operazione. In conseguenza di ciò, non è possibile tenere traccia della cronologia delle transazioni relative agli utenti della piattaforma.

Oltre alla transazioni standard, Beam è in grado di supportare anche i cosiddetti atomic swap. Con questa definizione si indica lo scambio diretto di criptovalute tra due parti facendo uso di smart contract noti come Hashed Timelock Contracts (HTLC).

Chi c’è dietro al progetto?

Il progetto è stato lanciato da Alex Romanov e Alex Zaidelson, con la fondazione di Beam Development Ltd., nel corso del 2018. L’anno successivo è quindi stata lanciata la mainnet, che ha subito fatto discutere per la sua propensione ad una privacy tale da sconfinare nell’anonimato.

Per dare solide basi all’azienda, è stato lanciato un primo round di finanziamento, in cui sono stati raccolti 5 milioni di dollari, per la maggior parte provenienti da una società d’investimento giapponese, Recruit Strategic Partners. Altri due milioni di dollari sono poi arrivati nel corso di un secondo round, cui hanno partecipato dieci investitori, tra istituzionali e privati.

Se in un primo momento la gestione del piano di sviluppo è stato affidato ad una fondazione, in seguito è subentrata un’organizzazione autonoma decentralizzata, BeamX DAO. Proprio ad essa spetta il compito di scandire le tappe relative allo sviluppo del progetto.

Le prospettive di Beam

Il futuro di Beam, come del resto di tutte le criptovalute che si propongono la privacy, se non addirittura l’anonimato delle transazioni, è abbastanza incerto. Si tratta infatti di soluzioni apertamente osteggiate dalle autorità di vigilanza e dalle agenzie che si occupano del contrasto al riciclaggio di denaro sporco e all’evasione fiscale.

Se sinora la loro attenzione si è concentrata su Monero, anche Beam è monitorato con molta attenzione. Un monitoraggio minaccioso, che ha spinto molti exchange a escludere quest’ultimo dalle proprie contrattazioni. Un atteggiamento il quale pone una seria ipoteca sul futuro di Beam e potrebbe impedirne una crescita nel futuro. Se sembra impossibile o comunque inutile arrivare ad un vero e proprio bando nei confronti delle privacy coin, proprio i mercati sembrano comunque poco inclini a scommettere su di loro.