I legali che rappresentano la difesa di Bujar Fandaj, il 41enne di origini kosovare accusato dell’omicidio dell’ex amante Vanessa Ballan, consumatosi a Riese Pio X lo scorso 19 dicembre, hanno deciso di impugnare l’ordinanza di custodia cautelare con cui il gip di Treviso ne aveva convalidato il fermo, chiedendo che venga scarcerato. Il motivo? L’impianto accusatorio messo in piedi dalla Procura presenterebbe delle falle.

Chiesta la scarcerazione di Bujar Fandaj, accusato dell’omicidio di Vanessa Ballan

Il giudice per le indagini preliminari Carlo Colombo aveva indicato nelle motivazioni della custodia cautelare emessa nei confronti di Bujar Fandaj al momento della convalida del fermo, non solo il pericolo di fuga, ma anche quello dell’inquinamento delle prove e della possibile reiterazione del reato ai danni di altre donne.

Nel farlo aveva dato particolare peso alla telefonata effettuata dall’uomo pochi attimi dopo l’omicidio dell’ex amante Vanessa Ballan, nel corso della quale, oltre a confessare di aver “commesso una brutta cosa”, il 41enne rendeva nota la sua volontà di costituirsi il giorno successivo, dicendo però di trovarsi in un luogo diverso rispetto a quello in cui era realmente.

Una telefonata che secondo i due legali che lo difendono, gli avvocati Chiara Mazzocato e Daria Bissoli, non sarebbe sufficiente ad incastrarlo, non potendo essere considerata una confessione vera e propria. Da qui la richiesta di scarcerazione per il 41enne, che finora, davanti agli inquirenti, si è sempre avvalso della facoltà di non rispondere.

La ricostruzione del delitto

Stando a quanto ricostruito finora nel corso delle indagini, il 41enne si sarebbe intrufolato in casa della vittima, a Riese Pio X, dopo aver scavalcato la recinzione e aver frantumato con un martello il vetro della portafinestra d’ingresso mentre lei era sola.

Una volta entrato l’avrebbe quindi colta di sorpresa, picchiandola e accoltellandola per almeno otto volte ai polmoni e al cuore, fino a lasciarla a terra esanime. Sembra che non accettasse la fine della loro relazione extraconiugale e che sperasse che la donna, incinta di tre mesi, lasciasse il compagno Nicola Scapinello, con cui aveva già un figlio di quattro anni, e tornasse a stare con lui.

Da un po’ la perseguitava, seguendola sul luogo di lavoro e minacciandola. Ad ottobre, dopo averla ricattata, aveva inviato sul telefono cellulare del compagno un video che li ritraeva in atteggiamenti intimi, facendo esplicito riferimento alla natura del rapporto che li legava. Lei, messa alle strette, aveva confessato il tradimento.

Scapinello l’aveva perdonata. Poi insieme si erano recati presso il commissariato locale per sporgere denuncia nei confronti del 41enne, che comunque non era stato sottosto ad alcun divieto di avvicinamento. Il pubblico ministero di Treviso ha fatto sapere che la situazione non sembrava essere urgente. Se non fosse stata sottovalutata, forse la 26enne sarebbe ancora viva.

I gravi indizi di colpevolezza a carico del 41enne

A carico di Fandaj i carabinieri avrebbero già raccolto gravi indizi di colpevolezza. Dopo averlo fermato, nella tarda serata del 19 dicembre, nella sua abitazione avevano trovato non solo una sim prepagata e un passaporto appena rinnovato (segno che aveva premeditato la fuga, oltre che l’omicidio), ma anche un coltello parzialmente lavato, probabilmente l’arma del delitto.

Non è tutto. A casa della vittima Fandaj avrebbe infatti lasciato il martello usato poco prima dell’omicidio, appartenente alla sua impresa edile, la “Sette color”. E un filmato della videocamera di sorveglianza installata sul retro della villetta adiacente a quella dove si è consumato il delitto lo avrebbe ripreso mentre, la mattina del 19, scavalca la recinzione con una busta di tela nera contenente degli attrezzi.