La decisione di non concedere nessuna proroga al Decreto Crescita, applicato al calcio, fa discutere. Quasi tutti i club più blasonati e importanti d’Italia hanno decine di milioni di euro di debito e facevano affidamento sul regime fiscale favorevole per potersi muovere anche nel mercato di gennaio. Le carte in tavola però sono cambiate. Per fare chiarezza e avere maggiori informazioni sulla situazione attuale, in riferimento al Decreto Crescita, l’Avv. Sandulli, esperto di diritto sportivo e docente del Master Diritto e Sport all’Università La Sapienza, è intervenuto in esclusiva a Tag24.

Decreto crescita, l’Avv. Sandulli a Tag24

Come spiegare l’abrogazione del decreto crescita a chi non si intende di economia?

“E’ ormai prassi dare alle leggi un nome che non ne richiami il contenuto, ma con cui condividere una speranza. Ad aprile 2019, il Governo adottava un decreto legge (DL del 30 aprile 12019., n. 34, conv. in l.n. 58/2019) di 51 articoli su argomenti differenti e condivideva con gli elettori la speranza della crescita. I singoli articoli venivano battezzati con riferimento al risultato auspicato e l’art. 5 è per il “rientro dei cervelli”.

Questa norma introduce consistenti riduzioni delle imposte, di cui si sono avvantaggiati tutti, compresi i calciatori plurimilionari. Anche per questi ultimi si prevede un regime fiscale molto favorevole che vale centinaia di migliaia di euro. Questo ha consentito di portare in Italia campioni del calibro di Ronaldo, e Lukaku o allenatori come Mourinho.

Il favore fiscale ha portato a preferire calciatori stranieri, a danno dei vivai e serie minori. Per questo la norma è stata modificata, limitandola a chi avesse già compiuto vent’anni e con stipendi superiori al milione di euro.

Ora ci si divide tra chi ritiene che la possibilità di ingaggiare più facilmente e a costi inferiori campioni stranieri favorisca il nostro campionato, consentendo alle squadre di competere anche in Europa, e chi considera l’imposizione fiscale un principio di civiltà e solidarietà, per cui chi più guadagna debba maggiormente contribuire alle esigenze della collettività.

L’iniziale volontà di confermare questa regola, oppure la decisione di abrogarla gira intorno a questa domanda: la crescita di un singolo settore produttivo, cui venga facilitata la possibilità di avvalersi dei migliori campioni, pagandoli molto senza sostenere il costo delle tasse, è un vantaggio per il Paese? Questa crescita comporta riflessi positivi per tutti? E poi, siamo sicuri che lo sport nazionale cresca ingaggiando molti calciatori stranieri?

La mancata proroga

È stata una decisione giusta? Qualcuno ha detto che bisognava tener conto delle enormi risorse che il settore calcio produce. Praticamente che ci volesse un occhio di riguardo nei confronti del calcio. E’ d’accordo?

“La riduzione delle tasse a favore di pochi plurimilionari non può essere ridotta a un giudizio sommario per cui il calcio meriterebbe un occhio di riguardo. Perché se così fosse non ci sarebbero dubbi che non vi sono ragioni per concedere a chi guadagna milioni di euro di pagare in percentuale meno tasse di tanti altri. Una norma di così grande favore – ricordo, inizialmente pensata per richiamare in Patria ricercatori universitari i cui compensi sono di alcune decine di migliaia di euro l’anno – sarebbe giustificabile solo se il vantaggio delle squadre di calcio si trasformasse rapidamente in una crescita del nostro Paese.

Le grandi squadre e la Lega hanno portato numeri e valutazioni a supporto di questa tesi, affermando che i loro maggiori profitti verrebbero riversati a vantaggio dello sport, dei vivai, del sistema nel suo complesso. D’altra parte altri ritengono che questa norma avvantaggiando le grandi spese, aumenta la differenza tra piccole e grandi squadre. E molti ritengono che danneggi i vivai in quanto le società sarebbero indotte a cercare i nuovi giocatori all’estero prima che in Italia. Bisognerebbe studiare a fondo tutti i dati economici per rispondere in modo preciso; però certo a una lettura dei dati più noti e pubblicamente diffusi non sembra che l’ingaggio di pochi campioni cui vengono “regalati” milioni di euro in tasse non pagate sia un vantaggio così grande per il nostro Paese”.

Il futuro del calcio italiano

Questa decisione influirà ancora di più a lungo termine e la Serie A rischia di diventare meno attrattiva?

“Se verrà confermata la decisione di non prorogare la legge che concede questo beneficio fiscale agli sportivi, il risultato è che solo chi avrà sottoscritto il contratto prima del 31 dicembre 2023 potrà continuare ad avvantaggiarsene. Perché sarebbe ingiusto cambiare le regole fiscali per un rapporto di lavoro già stipulato. Tutti i prossimi contratti seguiranno le normali regole sulla tassazione. Ciò significa che, dal mercato di gennaio, le squadre dovranno far altri conti e magari scegliere diversamente da quanto programmato. Ma questo riguarda tutte le squadre, o almeno tutte quelle maggiori e di serie A, sia che siano molto indebitate sia che lo siano poco. E’ quindi probabile che arriveranno meno calciatori dall’estero rispetto a quanto era stato immaginato.

Questo minore attrattività potrebbe comportare un calo di interesse; ma la crescita di un settore non può dipendere solo da condizioni di favore fiscale. Inoltre tutto ciò potrebbe trasformarsi in un’opportunità per i calciatori già presenti nel nostro Paese, a cominciare proprio dagli italiani che potrebbero ora essere preferiti, e questo spiega il favore dell’AIC Associazione Italiana Calciatori verso il superamento di tale regola di favore”.

Gli investimenti

Prima di arrivare a un taglio così drastico, si poteva pensare a un accordo diverso? Magari facendo reinvestire i soldi risparmiati nei settori giovanili e nel talento italiano?

“Le soluzioni di compromesso e di adattamento sono sempre possibili e spesso auspicabili, ma in questo caso mi sembrerebbe un po’ utopico. Le società di calcio avevano interesse a risparmiare milioni nel pagamento di minori tasse e in questo senso andava la richiesta di mantenere questo privilegio. Soluzioni che prevedessero un reinvestimento (totale o più probabilmente parziale) verso attività proprie e altri interessi aziendali quali ad esempio i vivai, gli impianti, il calcio femminile o le politiche inclusive e sociali in genere rischiano di sfociare in comportamenti contraddittori e fors’anche un po’ ipocriti”.

La rabbia dei club

Le società di calcio hanno fatto troppo affidamento su questa agevolazione?

“Non c’è alcun dubbio che la quasi totalità del calcio italiano aveva fatto affidamento su questa regola di favore, aveva programmato acquisti incentivati e ora si trova spiazzato a pochi giorni dall’apertura del “mercato”. Le dichiarazioni di una mini proroga che coprisse almeno il mercato invernale, dal 1° al 31 gennaio, avevano innescato affidamenti. Le forze di Governo, invece, si sono divise in maniera apparentemente pregiudiziale, nel contesto di una legge di bilancio complicata e rincorrendo dichiarazioni capaci di raccogliere facile consenso; forse in vista delle prossime scadenze elettorali piuttosto che in ragione di reali equilibri costituzionali. Magari si sarebbe potuto concedere altri due mesi per garantire questo passaggio a metà campionato e mettere in calendario con maggiore preavviso e ponderazione di tutti gli effetti un intervento dedicato in primavera.

Sicuramente le società di calcio, così come qualsiasi altra impresa come i cittadini, si meritano un legislatore che programmi gli interventi senza cambiare idea nello spazio di una notte. La necessità di proiettare le strategie nell’arco di alcuni anni è essenziale per una migliore gestione e per una reale crescita; cambiamenti troppo rapidi, senza un adeguato preavviso, magari per colpire qualche personaggio o altre Istituzioni fano il male non solo dello sport ma del Paese intero”.