Sono passati dieci anni da quando Michael Schumacher rimase vittima di un brutto incidente con gli sci sulle montagne di Meribel. Il tedesco si trovava in vacanza con la sua famiglia, quando a un tratto si è recato in una zona fuori pista ed è caduto battendo violentemente la testa su una roccia. Poco dopo il trasporto in ospedale e il seguente intervento chirurgico, che gli ha cambiato per sempre la vita. Da quel momento, sulle condizioni dell’ex pilota di Formula 1, si è stretto il massimo riserbo. Sua moglie Corinna ha fatto tutto il possibile per il rispetto della sua privacy e lo stato di salute di Schumacher è rimasto un mistero per tutti i suoi tifosi. Persino alcuni di coloro che lo hanno accompagnato nel mondo delle corse sono rimasti fuori dalla sua nuova vita, come ad esempio il suo ex manager Willi Weber.
Se penso a Michael adesso, purtroppo non ho più alcuna speranza di rivederlo. Nessuna notizia positiva dopo dieci anni.
L’ultimo a parlare pubblicamente del tedesco è stato Luca Cordero di Montezemolo, storico ex presidente della Ferrari che ha accompagnato Schumacher nell’avventura in Formula 1.
Le parole di Montezemolo
Luca Cordero di Montezemolo ha iniziato l’intervista ricordando il giorno dell’incidente. L’ex presidente della Ferrari aveva un grande rapporto con Schumacher e l’accaduto lo ha sconvolto.
Quando sono in ufficio Michael ce l’ho sempre davanti. Alle pareti ho tre foto con alcuni momenti del suo periodo in Ferrari: Jean Todt che lo solleva dopo la vittoria del Mondiale a Suzuka nel 2000, l’immagine di tutto il team con la parrucca rossa scattata in Malesia e il nostro abbraccio dopo il trionfo di Monza del ’96. Quando mi hanno detto dell’incidente ero in ufficio a Maranello. La notizia me la portò Stefano Lai, allora responsabile della comunicazione. Guardi, meno ne parlo e meglio sto perché fu una giornata terribile. Con Schumacher avevo un grande rapporto nonostante all’epoca non fosse più con noi. Ho dei ricordi meravigliosi a casa mia a Bologna insieme a Mick e Gina Maria entrambi piccolini. Venivano soprattutto in estate. Mettevamo Mick a dormire e Michael aveva paura degli insetti. Allora sistemavamo una zanzariera sul letto e Schumi ogni due minuti si alzava da tavola per controllare che la protezione tenesse. È stato un padre molto attento e premuroso.
Poi un ricordo sull’ultimo contatto avuto con il tedesco e un commento sulle voci sulle capacità da sciatore di Schumacher.
L’ultima volta che l’ho sentito è stata una settimana prima dell’incidente, al telefono. Aveva già lasciato la Mercedes. Parlammo di vacanze e mi disse che Gina stava diventando molto brava a cavallo. Ai tempi della Ferrari per contratto non poteva mettere gli sci. L’unica licenza era quella settimana-esibizione che organizzavamo a Madonna di Campiglio ogni anno. Sciare gli piaceva, era soprattutto un’occasione per stare con i figli. Ma certo non era uno sciatore esperto.
“Michael c’è, ma è un Michael diverso”
Montezemolo ha proseguito parlando di sua moglie Corinna, che da anni lotta per far rispettare la privacy di suo marito. In tanti, tra cui anche amici, non hanno più avuto occasione di far visita a Schumacher.
Condivido ciò che ha detto Jean Todt poco tempo fa. Michael c’è, ma è un Michael diverso. Per il resto rispetto il desiderio della moglie che negli anni ha tenuto un grande riserbo sulle sue condizioni. Preferisco ricordarlo in piena forma. È una moglie eccezionale, l’ho sempre stimata perché era una di quelle donne che stava due metri dietro al marito. E poi ho apprezzato il suo coraggio e la dedizione che sta dimostrando a Michael per proteggere la privacy di un marito che non sta bene. L’ho sentita quindici giorni fa, era in Texas nel ranch che Schumi comprò per la figlia Gina appassionata di reining, la disciplina dell’equitazione americana che si ispira al lavoro dei cowboy.
Montezemolo ha commentato il mancato ingaggio di Mick Schumacher in Ferrari come terzo pilota, dicendosi dispiaciuto. Il ragazzo non ha soddisfatto le aspettative dalla Haas durante la sua esperienza nel Circus, andando spesso a muro e arrecando molti danni alla vettura. Poi ha parlato della figlia del tedesco, Gina Schumacher, che all’età di soli 20 anni è riuscita a diventare campione del mondo di equitazione. Anche lei, come suo padre, aveva cominciato da piccola a correrei sui kart, ma mamma Corinna l’ha fatta innamorare dei cavalli.
Ci sono rimasto male perché la Ferrari non l’ha preso come terzo pilota, sarebbe stato perfetto. Lui è un ragazzo molto serio, di prim’ordine come la sorella. Paga il cognome del padre, ma penso che possa ancora dire la sua. Gina è una ragazza determinata, una delle migliori nel suo sport.
L’ingaggio di Schumacher in Ferrari: il primo incontro con Montezemolo
L’intervista è proseguita quando Montezemolo ha voluto ricordare l’incontro decisivo per l’ingaggio di Schumacher in Ferrari. Il tedesco si è reso protagonista di un simpatico siparietto.
Si presentò vestito da cowboy: Il mio ufficio a Maranello era dentro il cortile della fabbrica e siccome non sopporto l’aria condizionata tenevo le finestre aperte. Faceva caldo. Lui entrò e invece di venirsi a sedere, andò a chiuderle. Tra me e me pensai “questo è matto”. Allora gli chiesi: “Ma che fai?”. E lui rispose: “Lei non si rende conto di quello che respira, qui arrivano tutti gli scarichi della fabbrica”. Era un salutista convinto.
Schumacher arrivò in Ferrari in un periodo di ricostruzione, in compagnia di Jean Todt, Brawn Martinelli e Domenicali. L’ex pilota rivelò di aver capito da subito l’importanza della Ferrari, quando a Hockenheim ruppe il motore e fu costretto a cedere il primo posto all’austriaco Berger.
Quando sono tornato in Ferrari l’obiettivo era ricostruire la squadra. Dovevo assumere persone valide per programmare un ciclo vincente e creare un clima buono in azienda. Presi Todt perché a me non piacevano i mercenari e lui aveva fatto tutta la sua carriera da dirigente alla Peugeot. Poi arrivarono Brawn, Byrne, Martinelli e Domenicali. A quel punto e solo a quel punto mancava un pilota che potesse fare la differenza. Seguendo la lezione di Enzo Ferrari che non si esponeva mai in prima persona chiesi a Niki Lauda di andare a parlare con Willi Weber, il manager di Schumi. Lui prese i primi contatti e poi passo la pratica a Todt. E infine Michael arrivo da me. Quel ragazzo tedesco il mito della Ferrari non l’aveva al cento per cento. Ma aveva capito la sua importanza quando l’anno prima era in testa al GP di Germania. A due giri dalla fine ruppe il motore e vinse Berger sulla rossa. Mi confessò di essere rimasto molto colpito: “Io tedesco, nel circuito di casa mi fermo per un guasto e vedo tutto Hockenheim pieno di bandiere della Ferrari che osannano un austriaco…”.
I momenti più belli tra Schumacher e Montezemolo
L’ex leader della Ferrari ha ancora scolpiti nella memoria tanti momenti belli in compagnia di Schumacher. Dalla vittoria del Mondiale di Formula 1 a Suzuka fino a Magny Cours.
Comincio con il primo successo sulla rossa a Bar-cellona, il 2 giugno del 1996. Vinse sotto una pioggia battente e capii che finalmente eravamo al completo: squadra, atmosfera e un grande pilota. E pensare che dopo quel trionfo inanellammo due brutte fi-gure: a Magny Cours in Francia dove la macchina si fermo nel giro di ricognizione e in Canada dove perdemmo un semiasse al pit stop. Molti giornalisti ma anche dentro la Fiat a Torino cominciarono ad avere dubbi sul tedesco. Difesi Schumi e Todt e feci bene perché subito dopo vincemmo a Spa e soprattutto a Monza.
Poi la conquista del titolo piloti a Suzuka nel 2000. Una giornata storica perché riportammo il Mondiale a Maranello dopo 21 anni dal trionfo di Jody Scheckter. Guardai la gara a casa mia a Bologna, quindi partii per Maranello. Erano le 7.30 del mattino e non si riusciva ad arrivare in fabbrica dai tanti tifosi che occupavano le strade. Il GP successivo, l’ultimo della stagione, andai in Malesia dove vincemmo anche il titoli costruttori. Al termine della gara io, Todt, Schumi e Barrichello facemmo la famosa foto con le parrucche rosse. Da quella sera, nonostante fosse un salutista convinto, Michael iniziò a fumare un sigaro dopo ogni vittoria per rilassarsi. Infine nel 2002, quando vincemmo il Mondiale a Magny Cours già nel mese di luglio. Per festeggiare organizzammo una serata in un piccolo albergo del paese. Schumacher e Barrichello ballavano in modo sfrenato, avevano perso l’uso della ragione.
Schumacher ha avuto occasione di guidare insieme all’ex presidente, come raccontato dallo stesso Montezemolo.
Sono salito in macchina con lui al Nurburgring. Dovevamo presentare la Ferrari 575. Gli chiesi di fare un giro. In quel circuito avevo corso quando facevo i rally. Lui si mise al volante. Andavamo forte, ogni curva era un controsterzo. Pensavo di morire. Gli gridai più volte “Rallenta”. E lui: “No”. Allora ho tolto la chiave dal cruscotto e ho fatto il circuito a piedi per tornare ai box.
Dopo l’incidente di Massa nel 2009 Montezemolo tentò di riportare Schumacher sulla Ferrari, ma il tedesco non se la sentì. Dopo vari discorsi decise di accettare la sfida, ma una diagnosi medica gli impedì di ricominciare.
Siamo stati un’ora a parlare. Alla fine, non so come, riuscii a convincerlo. Mi disse: “lo ho avuto tanto dalla Ferrari non posso dire di no in questo momento in cui voi avete bisogno”. Gli brillavano gli occhi per la felicità. Corse a provare il sedile della monoposto. Il giorno dopo andò al Mugello e girò molto bene con la macchina del 2007 perché per regolamento non si potevano fare prove con le monoposto della stagione in corso. Realizzo dei buoni tempi. Quando saliva sui cordoli, però, sentiva un leggero dolore dietro al collo, alla vertebra lesionata nell’incidente in moto. La sera stessa parti per l’Austria a farsi visitare dal suo medico. Lì ricevette la doccia fredda: la piccola frattura non si era rimarginata, il dottore gli vietò di rimettersi a correre per almeno due mesi. Ricordo la sua telefonata: era distrutto, sembrava di parlare con un bambino a cui avevi dato uno zuccherino e subito dopo glielo avevi portato via.
Rimpiazzammo Massa con Fisichella e Michael venne al nostro box come consulente. Ad Abu Dhabi incontrò Ross Brawn che lavorava per la Mercedes. Schumi era adrenalinico, i due mesi erano passati e voleva tornare in pista a tutti i costi. Accettò la proposta di finire la carriera da loro. Rimasi male solo per una cosa e glielo dissi: la Mercedes girò una pubblicità dove compariva alla guida di una Gran turismo rossa. Io una Mercedes rossa non l’ho mai vista, non è il loro colore. Approfittarono del momento. Schumi era eccezionale in gara. Era in grado di fare 70 giri di un GP come fossero 70 giri di qualifica. Ed è stato il primo a introdurre grande attenzione sulla preparazione fisica. Era un atleta che per dare il massimo doveva sentire intorno il supporto e il calore di tutti. Era molto coraggioso con un grande temperamento. Teniamo conto che le macchine di allora erano più difficili di quelle di oggi dove c’è tanta elettronica. Per me è stato il migliore di sempre in gara. La monoposto gli mancava in ogni momento. Finiva un Mondiale e in vacanza andava sui kart aspettando di ritornare in pista.
Infine un paragone con Leclerc.
È un pilota diverso, formidabile in qualifica. La Ferrari fa bene a puntare su di lui, ma deve avere una squadra e una macchina che lo mettano nelle condizioni di vincere.