La vita, le passioni e la carriera di Raffaella Carrà sono il cuore del documentario disponibile dal 27 dicembre 2023 in streaming su Disney+. “Raffa”, diretto da Daniele Luchetti per The Walt Disney Company Italia, offre un ritratto speciale dell’artista che racconta non solo le luci del mondo dello spettacolo a cui si è sempre dedicata, ma anche i retroscena della vita privata di Raffaella Pelloni.

Si raccontano gli amori, la sensibilità, il desiderio di rivalsa, la libertà della Carrà che ha ispirato – e continua ad ispirare – tantissime generazioni, rendendola un’icona soprattutto per la comunità LGBTQ+. Un fenomeno di portata difficilmente spiegabile che rende affascinante il personaggio ancora oggi.

Proprio per questo Tag24 ha intervistato la dj Paola Dee, che comprare nella docu-serie su Raffaella, una della fondatrici delle serate romane del “Muccassassina”, che ha rilanciato le canzoni della Carrà sulle piste delle discoteche della capitale negli anni’90 – un periodo difficile a causa del terrore legato alla diffusione dell’AIDS – per omaggiare l’artista non solo a livello musicale ma anche umano.

Il documentario su Raffaella Carrà racconta come è diventata un’icona per la comunità LGBTQ+

D: Nella docu-serie disponibile su Disney+ si fa riferimento a Raffaella Carrà come un‘icona per la comunità LGBTQ+ . Come è riuscita secondo lei a diventare un simbolo? Il suo senso di libertà e l’atteggiamento “rivoluzionario” che ha portato una ventata di freschezza per il mondo dello spettacolo al tempo hanno contribuito a renderla una figura così attuale?

R: Come si vede nel documentario, erano tempi molto difficili. Si cominciavano a sentire storie sull’AIDS, una malattia di cui non si conosceva nulla. Io faccio parte di un’associazione, il Circolo “Mario Mieli” di Roma, e tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta ci ricordiamo tutti la paura e il terrore che si erano diffusi a causa di questa patologia.

Si pensava che questa malattia colpisse unicamente gli omosessuali, aleggiava la storia che l’unica possibilità di salvezza fosse praticare la castità. In realtà noi del Circolo eravamo già abbastanza informati sulla questione e sapevamo che esisteva un modo giusto per incontrarsi, favorire la socialità ma anche per avere rapporti sicuri tramite l’uso del preservativo.

Avevamo bisogno di diffondere questa notizia per cercare di rassicurare le persone – che all’epoca erano molto spaventate- quindi da lì nasce l’idea di organizzare una festa, il 3 ottobre del 1990, che in realtà è stata la prima “Muccassassina” della storia (da qui prende il nome l’evento della comunità LGBTQ+ e il locale di Roma diventato un punto di riferimento, ndr.).

Il ritorno della canzoni della Carrà nelle discoteche durante gli anni ’90: l’idea di Paola Dee per combattere la paura dell’AIDS

D: Come e perché è nata l’idea di mettere le canzoni di Raffaella Carrà in discoteca? Cosa rappresentavano?

R: Tutto è nato in quella prima serata del “Muccassassina”. Nel circolo io ero l’unica a possedere diversi dischi e quindi mi sono ritrovata a fare la dj per l’evento – e faccio ancora questo lavoro dopo più di trent’anni – e in quel momento così particolare ho visto e percepito tristezza e preoccupazione tra le persone. La gente non voleva più uscire di casa, non si sapeva niente sull’AIDS, come si contraeva, le dinamiche del contagio, le cure.

Si era sviluppata una paura del contatto: le persone avevano il terrore dei baci, di toccarsi, di abbracciarsi. Altro fatto da considerare è che il periodo a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 era il momento in cui musicalmente si passava dalla disco music all’house: le atmosfere dei club stavano assumendo dei toni molto più cupi e dark.

Proprio per la tristezza che vedevo tra le persone e questo cambiamento nella scena delle discoteche, ho pensato che le canzoni di Raffaella Carrà potessero aiutare la gente – come è successo per me – proprio in virtù della gioia, del divertimento e della speranza di cui erano permeate.

I testi che a molti sembravano frivoli erano pieni di insegnamenti e messaggi positivi. Erano un inno alla libertà. Così ho deciso di lanciare in consolle i pezzi di Raffaella. Le persone, oltre che ballare, cantavano: era l’inizio di una liberazione sia fisica che vocale, tutti insieme in pista. Da quel momento in poi non ho mai smesso di mettere la Carrà durante le mie serate. Ha salvato la vita di tanti, a cominciare da me.

D: “Rumore” e tanti altri pezzi ritmati e ballabili nonostante fossero passati di moda, alla fine sono tornati in voga non solo per scaldare la pista quindi?

R: Sì , nonostante il passaggio dalla disco music all’house nelle discoteche la gente comunque continuava ad apprezzare la Carrà. Finalmente tornava un’atmosfera di festa dopo un periodo di paura. Per spiegare meglio quale era la situazione al tempo, mi viene in mente un paragone con il lockdown durante la pandemia.

Il terrore di ciò che non si conosce, soprattutto quando c’è di mezzo la salute. In quel momento lì però era riservata ai gay. Era una condizione bruttissima in cui vivere – e nel documentario su Raffaella Carrà lo racconto – perché ci ha salvato da un momento davvero terribile. Nonostante qualche scettico del tempo, quando partivano – e quando tutt’ora partono – le canzoni della Carrà le persone si scatenano, c’è un boato. E’ qualcosa di indescrivibile.

Raffaella Carrà e il suo ideale di libertà tra canzoni, balli e costumi

D: I brani, i movimenti, i costumi di scena: tutto ha contribuito a rendere la Carrà un personaggio unico e “trasgressivo” – forse a pari merito in Italia in quel periodo c’era solo Renato Zero – capace allo stesso tempo di rappresentare chi si sentiva diverso, escluso e non capito dalla società. Questo rende Raffaella ancora così attuale oggi? La scelta di omaggiarla nel 2022 al Gay Pride di Roma non sembra casuale…

R: Il documentario racconta la grandezza artistica e umana di Raffaella Carrà: era capace di riempire gli stadi e i cuori delle persone. E’ stata precursore di tantissimi artisti arrivati dopo di lei, che ancora oggi continuano ad ispirarsi al suo stile, anche a livello internazionale come per esempio Madonna, Lady Gaga: il caschetto biondo è il primo indizio.

La libertà è stato il motore fondamentale di Raffaella Carrà, nelle canzoni, nei suoi balli ma anche nel suo look. Ha osato. Tutti ci ricordiamo dell’ombellico nel “Tuca tuca”. Ha cambiato la mentalità della società, anche grazie al fatto che riusciva a piacere veramente a tutti. Io la identifico con due parole: leggerezza e libertà.