L’ex pallavolista e allenatrice Paola Bolognesi era stata trovata morta nella camera da letto della sua abitazione di Bagnacavallo, in provincia di Ravenna, la mattina del 24 dicembre scorso: stando ai risultati dell’autopsia effettuata sul suo corpo, sarebbe morta a causa dei suoi problemi al cuore e non, come pure si era ipotizzato, a causa di un gesto violento.
Paola Bolognesi, l’autopsia: morta per problemi al cuore
Per fare luce sul suo decesso la Procura di Ravenna aveva deciso di aprire un fascicolo d’inchiesta: sul corpo della 61enne di Bagnacavallo erano state trovate, infatti, diverse ecchimosi. Una delle ipotesi era che qualcuno potesse averle fatto del male nel sonno, cercando poi di depistare le indagini.
Per questo, nelle scorse ore, il nome del marito Miguel Soto era stato iscritto nel registro degli indagati. Era stato proprio il 55enne, la mattina del 24 dicembre scorso, a dare l’allarme, chiamando i carabinieri e dicendo loro di aver trovato il corpo senza vita della moglie nella sua camera da letto, con accanto un misuratore di pressione, dopo aver trascorso la nottata in un’altra stanza.
Agli inquirenti che lo avevano interrogato aveva spiegato che capitava spesso, quando uno dei due si attardava per assistere il suocero anziano, che vive in casa loro. Poi, attraverso il suo legale, l’avvocato Franco Randi, aveva parlato dei problemi di salute che affliggevano la moglie, con cui stava insieme da quindici anni: problemi che negli ultimi tempi si erano complicati, tanto da spingerla a programmare un intervento a una valvola cardiaca per fine gennaio.
Secondo il medico-legale incaricato di effettuare l’autopsia dopo l’annullamento dei funerali, che erano stati programmati per lo scorso 27 dicembre, sarebbero stati proprio i suoi problemi pregressi a causarne la morte per arresto cardiaco e non un gesto violento. L’unico indagato, del resto, si era subito professato innocente, dichiarandosi completamente estraneo ai fatti.
La storia di Isabella Linsalata, uccisa dal marito con un mix di farmaci
Mentre Soto era ancora sospettato, la sua posizione aveva ricordato a molti quella di Giampaolo Amato, l’ex medico della Virtus Bologna che tra poco andrà a processo con l’accusa di duplice omicidio, peculato e detenzione illecita di farmaci, per aver ucciso con un mix letale di sostanze prima la suocera Giulia Tateo, poi la moglie Isabella Linsalata.
È successo nell’ottobre del 2021. Sia la prima che la seconda, di 87 e 62 anni, erano state trovate morte in casa. Si era ipotizzato che potessero aver accusato un malore, morendo per cause accidentali. Le autopsie effettuate sui loro corpi avevano però permesso di rivelare nel loro sangue grandi quantità di farmaci.
Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, sarebbe stato Amato – che finora si è sempre professato innocente – a somministrarglieli, dopo averli portati a casa dall’azienda ospedaliera in cui, all’epoca dei fatti, era impiegato.
Ad incastrarlo, oltre agli accertamenti medico-legali, l’analisi di una bottiglia di vino che l’uomo aveva offerto alla moglie (che si era poi sentita male, avvertendo un colpo di sonno alla guida), conservata dalla sorella di Linsalata a “futura memoria”: al suo interno c’erano tracce di Midazolam e di Sevoflurano.
Farmaci potenti, che Amato avrebbe usato per “disfarsi” delle due donne, entrare in possesso delle loro eredità e costruirsi una nuova vita insieme all’amante, che invece, dopo il suo arresto, lo aveva lasciato. Secondo il Tribunale del Riesame, che negli scorsi mesi ha respinto il ricorso presentato dagli avvocati difensori dell’uomo, se uscisse dal carcere l’ex medico potrebbe scagliarsi anche contro di lei, tornando ad uccidere.