Ancora un’altra diretta TikTok da un carcere: l’ultimo episodio, avvenuto nella Casa circondariale di Terni, ha visto protagonisti tre giovani detenuti che, ottenuto un microcellulare, si sono collegati sulla nota piattaforma social.

L’intercettazione della diretta da parte dalla squadra mobile di Napoli e la segnalazione dell’episodio alla questura di Terni ha permesso agli investigatori di riconoscere rapidamente i detenuti coinvolti, nonostante gli stessi si fossero coperti il volto con delle sciarpe. Uno di questi, in particolare, è stato individuato perché figlio di un presunto affiliato al clan Cuccaro, gruppo camorristico operante a Napoli.

Diretta TikTok dal carcere di Terni, come entrano gli smartphone nelle celle?

Che i detenuti riescano a collegarsi sui social e a mostrarsi in diretta su TikTok, come avvenuto dal carcere di Terni, non è purtoppo una novità: basti pensare, ad esempio, alla diretta compiuta dal figlio di un boss detenuto a Poggioreale solo qualche mese fa.

Ma come è possibile che i detenuti riescano a ottenere, in piena detenzione, degli smartphone da cui collegarsi a Internet? E quali strumenti dovrebbero essere forniti agli agenti di Polizia penitenziaria per prevenire il verificarsi di tali episodi?

La redazione di TAG24 ha rivolto queste domande a Fabrizio Bonino, segretario regionale di SAPPE Umbria.

Diretta TikTok dal carcere di Terni, i telefoni spediti con i droni o con i pacchi postali

Segretario Bonino, come è possibile che i detenuti riescano a far entrare questi microcellulari da cui poi organizzano dirette social?

«In questo ultimo caso del carcere di Terni ancora non è emerso come siano entrati i telefoni. Quello che le posso dire, tuttavia, è che in questi giorni in Umbria siamo stati interessati da un altro caso – in particolare nel carcere di Orvieto – dove questi telefoni di piccole dimensioni sono stati recapitati attraverso i pacchi postali. Altre volte, invece, sono stati utilizzati i droni.

Consideri che in alcuni istituti – come ad esempio Orvieto – noi non abbiamo il servizio di vigilanza armata di sentinella serale e notturno. L’impianto di videosorveglianza esistente, poi, è spesso lasciato a se stesso a causa della mancanza di personale da impiegare. Si comprende, dunque, come questi sistemi neanche riescano a funzionare da deterrenti, dato che anche gli stessi detenuti si rendono conto che non ci sono controlli sufficienti ».

Telefoni recapitati in carcere, Bonino (Sappe): “Se ci fosse la volontà, le soluzioni ci sarebbero”

Che tipo di oggetti vengono recapitati ai detenuti tramite i pacchi postali?

«Purtroppo non solo i telefoni, ma anche la droga. Nel caso degli smartphone, questi sono talmente piccoli che vengono occultati nelle calzature, nei vestiti.

Quello che come sindacato ci indigna è che esisterebbero delle tecnologie per prevenire l’ingresso e l’uso di questi dispositivi in carcere, ma spesso non sono accessibili o se sono presenti non sono funzionanti. Anche la schermatura del perimetro degli istituti è purtroppo una possibilità poco perseguita. Se ci fosse la volontà, tuttavia, le soluzioni ci sarebbero eccome».

Perché non si procede a queste schermature?

«Queste sono decisioni che vengono prese dai vertici dell’amministrazione penitenziaria e dalla politica stessa, la quale fortunatamente nell’ultimo anno ha mostrato più sensibilità rispetto all’argomento.

La nostra frustrazione deriva dal fatto di sapere che negli istituti circolino droga e telefoni e non avere gli strumenti per intervenire. Anche perché il fatto che detenuti riescano a comunicare con l’esterno è un fatto grave e pericoloso: basti pensare al tema delle traduzioni in carcere, ovvero gli spostamenti delle persone da un luogo all’altro. Un detenuto che sa che il giorno dopo andrà in ospedale o in tribunale potrebbe infatti comunicare questi spostamenti ai familiari o ad altri, ponendo un tema di sicurezza non banale».

Diretta TikTok dal carcere di Terni, Bonino (Sappe): “Gli agenti hanno bisogno di personale e di strumenti”

Il segretario nazionale del Sappe, Capece, dice che gli agenti non possono essere lasciati a fare prevenzione “con la fionda“.

«Ha assolutamente ragione. Il personale di Polizia penitenziaria deve poter essere dotato di strumenti e soprattutto di nuove unità da destinare a questi incarichi di vigilanza.

Solo riferendomi all’Umbria, le posso dire che il nuovo Dm sulle piante organiche della regione ha penalizzato fortemente le nostre piante già carenti e dunque in difficoltà nel coprire certi servizi. Relativamente alle dotazioni tecnologiche, poi, è sconcertante notare come rispetto al crimine organizzato siamo indietro di venti anni.

Alla Polizia penitenziaria servono soluzioni e noi come sindacato proviamo a proporle. Rispetto alle aggressioni, ad esempio, siamo dell’idea che si dovrebbero dotare gli agenti penitenziari, al pari dei carabinieri o dei poliziotti, dei taser. Il taser, infatti, funziona da deterrente nel prevenire l’aggressività e sarebbe uno strumento in grado di aiutare gli agenti che svolgono il lavoro in un contesto particolarmente difficile».