Papa Francesco lo aveva anticipato nella Giornata mondiale della Gioventù a Lisbona, lo scorso agosto: “Il Signore non punta il dito, non chiude mai la porta, ma apre le sue braccia. Nella Chiesa c’è posto per tutti, così come siamo. Tutti, tutti, tutti!”. Ma ora, con la “Fiducia supplicans”, il documento della Congregazione della Dottrina della Fede, firmato dal prefetto, il cardinale Fernandez, la cui preparazione il Papa ha seguito personalmente, questa apertura diventa norma, stabilendo “la possibilità di benedire in Chiesa le coppie in situazioni irregolari e le coppie dello stesso sesso”.
Papa Francesco e la benedizione delle coppie gay
Come ha spiegato lo stesso cardinale Fernandez, la dottrina tradizionale sul sacramento del matrimonio, riservato soltanto a coppie eterosessuali, aperte alla generazione, resta ferma. Il Documento permette la benedizione in Chiesa di coppie gay e irregolari, ma senza convalidare ufficialmente il loro status, senza legittimarne la condizione. Si tratta, infatti di una benedizione che si esplicita come una semplice preghiera, priva di qualsiasi forma rituale, che per evitare confusioni con il matrimonio, non deve avvenire contestualmente ai riti civili di unione, né con abiti, gesti e parole propri di un matrimonio.
Ma la svolta rimane davvero notevole. Basti pensare che solo tre anni fa la stessa Dottrina della Fede (allora guidata dal cardinale Ladaria) aveva respinto la possibilità della benedizione delle coppie omosessuali, perché -scriveva il porporato- Dio benedice l’uomo peccatore, ma non benedice né può benedire il peccato.
La “Fiducia supplicans”, cancellando questa impostazione e innovando radicalmente, afferma invece che “non si deve impedire o proibire la vicinanza della Chiesa ad ogni situazione in cui si chiede l’aiuto di Dio…né sottoporre la benedizione a troppi prerequisiti di carattere morale, i quali, con la pretesa di un controllo, potrebbero porre in ombra la forza incondizionata dell’amore di Dio”.
L’apertura della Chiesa
E’ la grande e profetica concezione del Papa latinoamericano, che in perfetta continuità con il Concilio Vaticano II, apre la Chiesa a tutti quelli che vogliano farne parte, senza escludere nessuno. Coerente con le sue inedite e grandi affermazioni di inizio pontificato, in cui disse: Chi sono io per giudicare chi, unito in un rapporto omosessuale, persegue il bene del partner e si apre a Dio; e chi sono io per giudicare una donna che ha abortito e divorziato, che si è risposata e ora alleva dei figli con amorevolezza. Una rivoluzione dell’amore imperniata sulla concezione di un Dio misericordioso che non condanna in eterno mai nessuno e che tutti invece perdona e vuole salvare. E così, chiede ancora una volta il Papa, deve fare anche la Chiesa, il cui architrave rimane appunto la misericordia.
Una “rivoluzione” anche nella concezione dell’istituzione ecclesiastica che, pur lasciando intatta la dottrina del matrimonio, non può ugualmente piacere ai tradizionalisti e alla loro visione rigida della dottrina e delle norme, e che difatti hanno subito sollevato un’ondata di critiche e di denunce della nuova ecclesiologia, tutta pastorale, del Papa latinoamericano. Il cui torto, per molti, è proprio questa sua visione di un Dio che può essere soltanto misericordia e amore, come Francesco predica dall’inizio del suo pontificato, riaprendo quella “questione di Dio”, rimasta ferma agli anni del Concilio.
Raffaele Luise