Il Test di Howey è una presenza ormai abituale nel mondo delle criptovalute. Ogni volta che la Securities and Exchange Commission (SEC) degli Stati Uniti procede in giudizio contro le aziende che emettono token e li vendono al pubblico, infatti, per capire la fondatezza delle sue affermazioni i giudici sono soliti farvi ricorso.

È accaduto anche nel corso del dibattito giudiziario scaturito dal procedimento contro Ripple. Nel mese di luglio, infatti, la corte chiamata a giudicare in merito ha affermato che in base al Test di Howey, XRP diventa una security, ovvero un titolo, nel caso in cui sia proposto agli investitori istituzionali.

Considerata l’aggressività mostrata dall’autorità deputata al controllo dei mercati finanziari degli Stati Uniti, è lecito presumere che il Test di Howey sarà chiamato a risolvere molte controversie nell’immediato futuro. Andiamo quindi a capire meglio di cosa si tratti.

Test di Howey: di cosa si tratta?

Il Test di Howey è uno strumento in grado di determinare se una particolare transazione si evidenzi sotto forma di un “contratto di investimento”. Ove la risposta sia affermativa, la stessa deve essere considerata un titolo e, di conseguenza, obbligata a seguire i requisiti di divulgazione e registrazione che sono stati stabiliti dal Securities Act del 1933 e dal Securities Exchange Act del 1934.

Il Test di Howey deve il suo nome ad una causa esaminata dalla Corte Suprema nel 1946, una volta che la SEC aveva deciso di procedere in giudizio contro W.J. Howey Company. L’azienda, dopo aver dato vita ad un sistema che prevedeva l’affitto di terreni da adibire ad agrumeto da coloro che ne avevano acquistato appezzamenti, con conseguente ripartizione dei proventi tra essa e clienti, non aveva infatti registrato le transazioni.

Nel dibattimento che ne era conseguito, la Corte Suprema aveva deciso che tali accordi erano da ritenere alla stregua di contratti d’investimento. La cosa più importante, però, fu lo stabilimento di criteri in grado di fare giurisprudenza in merito.

I criteri del Test di Howey

I criteri indicati dalla Corte Suprema, che compongono quindi il Test di Howey cui spetta il compito di individuare l’esistenza di un contratto d’investimento sono quattro. Per la precisione, i seguenti:

  • deve trattarsi di una spesa o di un investimento monetario;
  • l’operazione deve riguardare una società mista;
  • deve prevedere delle entrate;
  • il guadagno deve essere realizzato mediante il lavoro di altre persone.

Applicate al caso di Howey, le quattro condizioni venivano a realizzarsi in pieno. Coloro che avevano acquistato gli appezzamenti di agrumeto, infatti, ravvisavano la convenienza nella fornitura da parte di altri di lavoro e conoscenze adatte. Per garantirsi un reddito passivo dovevano soltanto investire all’inizio. In conseguenza di ciò, si trattava di un contratto d’investimento, da registrare presso la SEC.

Come si applica alle criptovalute

L’applicazione del Test di Howey alle criptovalute è resa complicata dal fatto che si tratta di asset decentralizzati. Non rispondono ad un’autorità centrale e non vengono registrate, eludendo la legislazione sui titoli.

L’assenza di una regolamentazione del settore, negli Stati Uniti, gli consente di farlo. La SEC, però, non è d’accordo, affermando che a seguito delle transazioni avviene l’investimento in denaro parte integrante del test.

Così come è facile ravvisare l’esistenza di un’impresa comune e l’aspettativa di avere un ritorno dall’operato di altri. La conseguenza logica è che gli asset virtuali rappresentano titoli, da registrare presso la SEC.

Prima di fare capolino nella causa contro Ripple, il Test di Howey aveva caratterizzato una decisione presa dalla Securities and Exchange Commission nel 2017. All’epoca, l’autorità aveva affermato che le DAO (Decentralized Autonomous Organization), vendendo token in cambio di Ether andavano a violare la legge federale sui titoli.

In pratica quindi, almeno negli USA, chi mette in campo ICO (Initial Coin Offering) per il lancio di un progetto può essere accusato di analoga violazione. A differenza di Bitcoin, Ethereum e altre criptovalute, come specificato nel 2018 da Jay Clayton, all’epoca numero uno della SEC.

Nel caso di XRP, Ripple è accusata dalla SEC di aver raccolto illegalmente 1,3 miliardi. L’azienda, però, sostiene di non aver mai organizzato un’ICO. Sarà quindi molto interessante vedere come si concluderà la vicenda.