A Natale siamo tutti più buoni? I dolci, forse, ma per quanto riguarda le persone beh, questo è tutto da vedere! Quindi basta con la retorica e ammettiamo che, a volte, essere cinici o proprio cattivi sia la regola e non l’eccezione di un periodo solitamente descritto come il trionfo dei buoni sentimenti. Come ci ricordano alcuni film ambientati proprio sullo sfondo delle festività. Ecco i cinque migliori da recuperare!

Film di Natale cinici, tra ironia, satira e cattiveria

Ammettiamolo una buona volta: non è vero che il Natale tira fuori il meglio di noi. Non sempre e, soprattutto, non di tutti, almeno.

Quanti dei momenti che la pubblicità e la televisione ci hanno convinti essere piacevoli e indimenticabili sono, in realtà, tali?

  • L’atmosfera natalizia con la città illuminata da luci colorate è certamente stupenda. Se non fosse per i clacson assordanti delle auto e le urla della folla di passanti, resi nevrotici da un traffico più insostenibile del normale.
  • Lo sguardo del bambino di fronte al dono tanto atteso è meraviglioso. Molto meno le ore di attesa per aprirlo, secondo la regola – stabilita da chi? Certamente un sadico! – di aspettare la fatidica Mezzanotte per aprirlo.
  • Le risate in compagnia di parenti e amici, lontani durante il resto dell’anno, riempiono il cuore di gioia e serenità. Subito rovinate dal gioco d’azzardo legalizzato tipico del periodo, tra tombole interminabili e Mercanti in Fiera senza scrupoli, che scatenano la competizione più spietata e feroce.

Quindi, se anche voi pensate che ‘un altro Natale sia possibile’, ecco allora un po’ di film per rafforzare la vostra convinzione. No, niente classici per famiglie o gli ultimi arrivi su Netflix, ma film cinici, duri come la vita, per aiutarvi a uscire vivi dal Natale. Voi o qualche vostro parente.

Babbo Bastardo, quanto fa male Santa Claus politicamente scorretto

Un Babbo Natale truffatore, accompagnato da un elfo che, in realtà, è un nano nero cattivissimo, con cui ogni anno, sotto le sante ‘feste comandate’, rapina i grandi centri commerciali dove i due si trovano a lavorare.

È l’incipit di Babbo bastardo (titolo originale, molto più netto e centrato, Bad Santa) diretto nel 2003 da Terry Zwigoff.

Billy Bob Thornton veste i panni di un Santa Claus perennemente ubriaco e, francamente, disgustoso, tra barba incolta, conati di vomito, parolacce e insulti dispensati a chiunque si trovi nelle sue vicinanze, meglio se bambini ansiosi di leggergli la loro sospirata ‘letterina di Natale’.

Un gioiello di perfidia nato da un soggetto dei fratelli Coen (Il grande Lebowski, Fargo, Non è un paese per vecchi), che ci sbatte in faccia l’amoralità dello sfrenato consumismo natalizio, così in contraddizione con l’imperante retorica della bontà e della solidarietà.

Il trailer di Babbo bastardo.

Regalo di Natale, Pupi Avati e l’amicizia che fa rima con poker e tradimento

Se si tratta di sferzare con ferocia inaudita la finta retorica di una morale di seconda mano, noi italiani siamo i migliori nel farlo. Anche quando si parla del Natale.

Pupi Avati, regista di commedie o drammi della nostalgia e della leggerezza, ha dato il meglio di sé quando si è confrontato con il Male e la cattiveria, come nelle sue escursioni nel genere horror (La casa dalle finestre che ridono su tutti).

La conferma arriva quando, nel 1986, dirige Regalo di Natale, storia feroce di vendette e tradimenti intorno a un tavolo da poker illuminato dalle luci brillanti delle feste.

Alcuni amici si ritrovano dopo anni, la vigilia di Natale, per una partita di poker. È l’occasione per rinsaldare il loro legame appassito dal tempo o per ricostruirlo, nel caso di due di loro (Gianni Cavina e Diego Abatantuono, che accettò il ruolo dopo il rifiuto di Lino Banfi).

Sarà il trionfo della crudeltà, perché anche l’amicizia è solo un altro strumento da sfruttare per raggiungere i propri scopi.

Una scena di Regalo di Natale di Pupi Avati.

Brian di Nazareth, o della quasi scomunica dei Monty Python

Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi“.
Se il proverbio vale per le creature celestiali in contatto con il divino, figurarsi cosa può succedere se oggetto dell’ironia è… il divino stesso!

In realtà non c’è bisogno di immaginarselo. Basta vedere cos’è successo a Brian di Nazareth, capolavoro di satira dissacrante del geniale gruppo comico dei Monty Python.

La storia raccontata è quella della Natività ma… con una piccola quanto determinante variazione. Il Brian del titolo, infatti, nasce in una capanna costruita proprio accanto alla grotta dove, quella stessa sera, nasce Gesù. I Re Magi, scambiandolo per quest’ultimo, portano a sua madre i loro doni, salvo poi accorgersi dell’errore e… andare a riprenderseli!

È solo il primo di una serie di esilaranti equivoci che portano il giovane a essere scambiato per il Messia.

Uscita nelle sale del Regno Unito nel 1979, la pellicola viene fortemente ostracizzata dal ‘Board for social responsability’ – ufficio della Chiesa britannica che si occupa, tra le altre cose, del monitoraggio di opere cinematografiche a tema religioso – che la stronca pubblicamente e invita i cattolici a evitarla come la peste di biblica memoria.

Ovviamente in Italia le cose non possono andare meglio, anzi. Il film esce, infatti, ben dodici anni dopo, nel 1991.

Un accanimento immotivato.

Perché il film dei Monty Python non è mai stato una satira contro Gesù o la religione cattolica. Il suo bersaglio sono i ‘fondamentalismi’ e i ‘fanatismi’ di ogni tipo, da quelli religiosi a quelli politici, che annullano la coscienza e la libertà di pensiero.

Bersaglio colpito in pieno, a giudicare dalla reazione surreale provocata dal film all’epoca del suo arrivo nei cinema…

Una scena di Brian di Nazareth dei Monty Python.

S.O.S. Fantasmi, anche Dickens ha paura degli anni ’80

Natale, si sa, fa rima con Charles Dickens.

Dobbiamo allo scrittore britannico dell’età vittoriana il racconto per eccellenza sui valori natalizi, Il canto di Natale. Una storia di cui Richard Donner (regista del Superman con Christopher Reeve, de I Goonies e della serie Arma letale) coglie e restituisce la profonda cattiveria nel suo adattamento in chiave contemporanea S.O.S. fantasmi.

Pensateci bene. Il protagonista Ebenezer Scrooge è un vero fetente! Avido e senza scrupoli, detesta il giorno di Natale perché non si lavora (e non si guadagnano soldi) e si rende colpevole di ogni nefandezza.

Quale figura migliore per esprimerne al meglio spietatezza e crudeltà se non quella di un produttore televisivo nel pieno boom degli anni Ottanta? A interpretarlo un più che perfetto Bill Murray, ‘yuppie’ egocentrico e arrogante, a immagine e somiglianza di un’epoca che elevò a valore la furbizia individuale a discapito del benessere collettivo.

Frank Cross, questo il suo nome, licenzia sottoposti la Vigilia di Natale e pubblicizza show natalizi per famiglie con immagini di disperazione, pandemie globali e… bombe atomiche! Un inquietante anticipatore di quello ‘spettacolo del dolore’ che avrebbe invaso i palinsesti tv dal decennio seguente e fino ai giorni nostri.

L’illustre critico americano Roger Ebert sottolineò che “le emozioni prevalenti del film sembrano essere il dolore e la rabbia“.

E aveva proprio ragione!

Scrooged – magnifico titolo originale che trasforma in aggettivo il nome del personaggio, facendone il vizio terribile di un intero periodo storico – parla forte e chiaro anche al nostro presente, e la redenzione finale ci conquista e commuove perché, da Dickens a oggi, rappresenta un ideale che, in fondo, sappiamo di non meritare.

Il trailer di S.O.S. fantasmi con Bill Murray

Parenti serpenti, Monicelli e il Natale italiano, tra grottesco e noir

La nostra carrellata sui film più cinici di Natale non può che concludersi con un maestro della commedia all’italiana più feroce.

In Parenti serpenti, Mario Monicelli posa il suo sguardo sulle tradizioni italiane delle festività. E le massacra.

Attraverso la storia di una tipica famiglia che si riunisce per la tipica Vigilia, Monicelli ne svela le piccole mediocrità e le bassezze, anticamera di una disumanità latente ma fin troppo palpabile.

E quindi la cena – ovviamente troppo abbondante – trascorre con il sottofondo immancabile della peggiore tv di costume, condita da superficiali discorsi di politica (cosa c’è di meglio che parlare del Terzo Mondo che muore di fame mentre si degusta un buon Nebbiolo?) alternate a volgarità a sfondo sessuale.

A fare più paura di questo affresco è il realismo impietoso con cui Monicelli lo mostra. Non ci sono eccessi o caricature nei suoi personaggi. Siamo noi o qualcuno che conosciamo, e siamo orrendi.

Ecco perché il suo film, per buona parte attraversato da punte di ironia amarissima, finisce via via col perderle, fino a un finale da vero film noir, che non sveliamo. Perché è pur sempre Natale, e anche se siamo cinici e cattivi, non lo siamo fino a questo punto.

Una scena di Parenti serpenti di Mario Monicelli.