Dopo la chiusura delle indagini, la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per Annalucia Cecere, la donna indagata dal 2021 per l’omicidio della 24enne Nada Cella, consumatosi a Chiavari, in provincia di Genova, il 6 maggio del 1996. L’accusa mossa nei suoi confronti è di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi. Accusati di favoreggiamento e false dichiarazioni, invece, l’ex capo della vittima e sua madre.
Chiesto il rinvio a giudizio per Annalucia Cecere, accusata dell’omicidio di Nada Cella a Chiavari
La donna, che oggi vive nel Cuneese e ha 53 anni, era finita sotto indagine dopo la riapertura del caso, nel 2021. Secondo la Procura, avrebbe ucciso la 24enne Nada Cella – trovata morta all’interno dello studio di commercialisti in cui lavorava a Chiavari nel 1996 – per “gelosia”, dopo essersi innamorata di Marco Soracco, il capo della giovane, a sua volta – sembra – infatuato della vittima.
Ad incastrarla sarebbero state le “nuove prove” acquisite nell’ambito delle indagini difensive portate avanti dall’avvocato della famiglia, Sabrina Franzone, con il supporto della criminologa Antonella Delfino Pesce. Scandagliando gli atti della precedente inchiesta – archiviata poco dopo i fatti – erano infatti emersi dei particolari in passato sottovalutati.
Particolari che alla fine avrebbero fatto la differenza, come la testimonianza di una donna che, subito dopo il ritrovamento del corpo della giovane, agli inquirenti aveva riferito di aver visto Cerere allontanarsi dalla scena del crimine in sella a un motorino proprio quel giorno. L’accusa è di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dalla crudeltà. Soracco e sua madre, la signora Marisa Bacchioni, finiranno invece a processo per favoreggiamento e false dichiarazioni all’autorità giudiziaria.
L’accusa mossa nei confronti di Marco Soracco e della madre
Secondo la Procura, l’uomo, oggi 62enne, e la madre, avrebbero rilasciato testimonianze non veritiere con l’intento di coprire l’imputata principale e fare in modo che non venisse arrestata. Se fosse accaduto, la storia, infatti, avrebbe potuto avere delle ripercussioni sullo studio di Soracco e, di conseguenza, sulla loro famiglia.
Soracco, in particolare, avrebbe mentito più volte alle autorità, sostenendo, ad esempio, di essere sceso a lavorare (viveva in un appartamento al piano superiore dello stesso stabile) qualche minuto dopo le 9.10, quando in realtà è stato dimostrato che ebbe accesso allo studio prima delle 9.
Fu lui, la mattina del 6 maggio 1996, a dare l’allarme, chiamando i carabinieri e dicendo loro di aver trovato la giovane in fin di vita. Ipotizzò anche che fosse caduta. Sul suo corpo però l’autopsia rivelò almeno 8 ferite, di cui alcune mortali, tutte provocate da un oggetto contundente mai ritrovato.
Quando gli investigatori erano arrivati, la scena del crimine era stata alterata: non solo dai paramedici che, nel tentativo di salvare la 24enne, non avevano pensato di poter contaminare la stanza, ma anche dalla madre di Soracco, Marisa Bacchioni. Pulendo le scale condominiali e l’androne del palazzo, la donna, oggi anziana, aveva infatti eliminato le possibili tracce lasciate dal killer.
La reazione della famiglia
L’analisi del Dna rinvenuto su vecchi reperti ha permesso di fare luce su dettagli importantissimi. Da qui la chiusura delle indagini, che l’avvocato Franzone, in una nota rilasciata in esclusiva a Tag24, aveva commentato in questi termini: “Siamo solo all’inizio, però questo è un passo molto importante per la famiglia e per la signora Silvana (la madre della vittima, ndr) in particolare, che a tante domande ha potuto trovare una risposta”. Ora il passo successivo, quello del processo, che potrebbe finalmente portare a una condanna del colpevole dell’omicidio, diventato nel tempo un vero e proprio cold case.