Chi è Samira Sabzian, la giovane donna iraniana di 32 anni, ex sposa bambina, impiccata in quanto accusata di aver ucciso il marito. Era sposata dall’età di 15 anni con un uomo molto violento. In sua difesa, in questi ultimi giorni, si erano mosse organizzazioni, gruppi, ong ed attivisti di fama internazionale. Purtroppo però non c’è stato nulla da fare e la vicenda si è conclusa nel peggiore dei modi.
Chi è Samira Sabzian?
Samira Sabzian è la donna di 32 anni che è stata uccisa da un boia in Iran. La Repubblica islamica, nonostante le forti pressioni internazionali di attivisti ed esponenti politici, ha deciso di giustiziarla. Fino all’ultimo si è sperato che la 32enne venisse graziata, ma così non è stato.
La signora da una settimana attendeva nella prigione di Qarchak, nel sud di Teheran. È stata impiccata questa mattina, in modo brutale, secondo il regime degli ayatollah. La donna è stata uccisa dopo la chiamata della preghiera del mattino. A dare la triste notizia è stata l’ong Iran Human Rights.
L’esecuzione della sentenza in realtà era prevista per il 13 dicembre scorso, ma le autorità iraniane avevano deciso di posticiparla. Il motivo di questa attesa in realtà non è molto chiaro ad oggi. Però è altamente probabile che il regime sia stato frenato dalle pesanti pressioni internazionali riguardanti tale vicenda e che speravano nella sopravvivenza della donna.
Il matrimonio a 15 anni, il marito violento, i figli e le accuse
Per capire chi è – o meglio, chi era – Samira Sabzian, dobbiamo tornare a quando lei aveva solo 15 anni. All’epoca, quando era ancora una ragazzina, era stata costretta a sposare un uomo, che nel tempo si è rivelato aggressivo e violento.
Samira è stata una sposa bambina. Da quelle nozze imposte aveva avuto due figli, che ha lasciato quando ancora erano piccoli. Il primogenito aveva 7 anni. Il secondogenito solo 6 mesi. La donna iraniana di 32 anni non li aveva mai potuti incontrare per ben 10 anni, quando si trovava in carcere.
Li ha rivisti solamente una settimana fa, qualche giorno ora prima della sua condanna a morte (che poi appunto è stata rimandata all’alba di oggi) per dire loro addio. Era stata lei stessa a rinunciare a vederli crescere dal momento che si trovava in prigione, accusata di essere responsabile dell’omicidio del marito.
La donna sperava che questo fosse un modo per ottenere il perdono della famiglia del marito. La stessa famiglia che non le ha concesso la grazia. Secondo la legge iraniana infatti, i parenti della vittima (dunque dell’uomo ucciso in questo caso) possono scegliere se concedere o meno la grazia al responsabile o alla responsabile del delitto.
Samira Sabzian ha sperato fino all’ultimo che questo succedesse a lei, ma così non è stato. Non sono inoltre a nulla i tantissimi appelli lanciati da organizzazioni non governative e da gruppi internazionali che si sono schierati in difesa della donna. Per lei è stata scelta l’impiccagione.
Iran Human Rights: “La dittatura fa quello che vuole”
Ai microfoni del Corriere della Sera l’attivista Mahmood Amiry-Moghaddam, fondatore della Ong Iran Human Rights di Oslo ha riferito che il silenzio di questi ultimi giorni è stato “fatale” per la donna. Ha inoltre invitato la comunità internazionale a tenere i riflettori accesi sull’Iran, Paese governato da una dittatura che “fa quello che vuole”.
Mahmood Amiry-Moghaddam ha sostenuto che è importante non addossare la colpa di questa morte alla famiglia della vittima proprio per non fare il gioco della Repubblica islamica, la quale cerca di scaricare ogni responsabilità sui cittadini. Ha allora affermato:
Gli unici boia sono loro che usano le impiccagioni per terrorizzare il popolo.
Ha ricordato che Samira è stata vittima sin da bambina (con il matrimonio combinato contro la sua volontà) di una forte violenza di genere. Poi è diventata vittima anche del regime iraniano “incompetente e corrotto”. La storia di questa donna, insomma, è l’ennesima storia di ingiustizia che rischia però di essere dimenticata, come tante altre.
In Iran, non molti mesi fa, aveva fatto molto discutere il caso della morte di Mahsa Amini, una giovane ragazza morta mentre era sotto la custodia della cosiddetta “polizia morale”.