Tumori professionali, pubblicato l’ultimo rapporto Eurostat. I dati relativi al 2021 mostrano una più lieve incidenza dei casi, forse dovuta allo stop delle attività a causa della pandemia, ma resta ancora comunque alto il numero delle diagnosi riconosciute come patologie derivate dall’attività lavorativa. Sono circa 3000 ogni anno. Vediamo quali sono quelli più frequenti.

Tumori professionali, rapporto Eurostat

Tumori professionali, dai dati statistici europei sulle malattie di questo tipo, appena pubblicati da Eurostat, emerge che tra il 2013 ed il 2021 stati diagnosticati 33.712 casi in totale riconosciuti dall’UE come patologie dovute all’attività lavorativa. L’incidenza è scesa leggermente nel biennio 2020/21, molto probabilmente per il fatto che ci sono stati dei periodi di sospensione durante i vari lockdown dovuti alla pandemia da Covid, che hanno rallentato anche l’attività ospedaliera di diagnostica, screening e prevenzione.

Le diagnosi riconosciute restano circa 3000 l’anno. Rispettivamente 3093 nel 2020 e 3258 nel 2021. Tuttavia, le statistiche potrebbero mostrare una sottostima del problema, perchè in questi numeri rientrano soltanto le patologie classificate come “malattie professionali“, ma potrebbero essere molte di più quelle che in qualche modo sono comunque associate all’esposizione ad agenti e fattori cancerogeni, e alla poca sicurezza sui luoghi di lavoro.

Le patologie riconosciute

Si definiscono tumori professionali tutte quelle malattie, che sono state riconosciute come causate o con-causate dalle attività lavorative. Esiste un’apposita tabella INAIL per classificare questo tipo di patologie. Da anni infatti il servizio nazionale per la sicurezza e la protezione sui luoghi di lavoro, aggiorna il documento che mostra quali sono le più comuni associazioni tra attività lavorativa e neoplasie. Per queste diagnosi c’è un iter preferenziale che facilita i pazienti quando rientrano nelle cosiddette “neoplasie tabellate”.

Ma c’è anche una lista con gli agenti cancerogeni più pericolosi, per i quali, la dimostrazione di una prolungata esposizione a causa di una specifica mansione lavorativa, può comportare il riconoscimento di una malattia legata al lavoro. Per queste ultime però, la documentazione deve essere prodotta con prove del nesso causale, direttamente fornite dal lavoratore.

Le diagnosi più frequenti di tumori professionali

I tumori che più frequentemente vengono diagnosticati come causati dall’attività lavorativa sono quelli a carico dell’apparato respiratorio. Tra i principali: il cancro del polmone, della laringe ed il mesotelioma. Quest’ultimo legato in particolare all’esposizione all’amianto e pertanto uno dei pochi ad essere riconosciuto dall’Inail e che garantisce il diritto a prestazioni economiche, anche quando compare non per cause lavorative. Poi c’è il cancro alla vescica, causato molto spesso dall’esposizione a particolari agenti chimici e fisici cancerogeni.

Resta una percentuale più bassa per quanto riguarda altri tipi di tumori con incidenza lievemente più elevata per quelli dell’orecchio e delle cavità nasali.  Queste patologie possono comparire anche a distanza di molti anni dopo essere stati a contatto con la causa scatenante. Quindi la prevenzione, il controllo, e le campagne di screening periodiche sono particolarmente importanti per monitorare i livelli di esposizione ed agire tempestivamente con nuove misure di sicurezza da adottare nei luoghi professionali qualora si evidenzi la presenza di fattori di rischio.

Fattori di rischio ed agenti cancerogeni sui luoghi di lavoro

I principali fattori di rischio che possono provocare tumori professionali, sono generalmente suddivisi in tre classi. Quelli di tipo chimico, fisico e biologico. Al primo gruppo appartengono metalli e sostanze chimiche tossiche e cancerogene in caso di prolungate esposizioni, comunemente usati in molti settori industriali. Come: amianto, cromo, nichel, cadmio, benzene, cloruro di vinile.

Per quanto riguarda il rischio fisico, il primo fattore è l’esposizione alle radiazioni ionizzanti (raggi X, gamma, alfa, beta e neutroni). Mentre la classificazione di rischio biologico prevede un elenco di fattori individuati in agenti patogeni, quali virus e batteri, per cui ad esserne più esposti sono i lavoratori che operano in ambito sanitario.