“Ho sentito tante falsità”: con queste parole Shabbar Abbas ha esordito davanti ai giudici della Corte d’Assise di Reggio Emilia nel corso dell’ultima udienza del processo per l’omicidio della figlia Saman, consumatosi a Novellara nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio del 2021. Oltre a lui sono imputate quattro persone, tutti familiari della giovane strangolata. La sentenza finale è attesa in serata.

Le dichiarazioni di Shabbar Abbas al processo per l’omicidio della figlia Saman

Per l’uomo e per la moglie Nazia, attualmente ricercata in Pakistan, la pubblica accusa ha chiesto l’ergastolo. Secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini e del processo, i due avrebbero infatti partecipato all’omicidio e all’occultamento del cadavere della figlia Saman, trovata morta all’interno di una profonda fossa scavata nei pressi di un casolare di campagna abbandonato a oltre un anno dalla sua scomparsa a Novellara.

Il motivo? La giovane, che aveva da poco intrapreso una relazione con il coetaneo Saqib Ayub, si era rifiutata di prendere in sposo un cugino del padre, che in cambio avrebbe assicurato alla sua famiglia una “dote” di circa 15 mila euro. Una versione dei fatti che Shabbar Abbas ha sempre rinnegato, professandosi innocente. Lo ha ribadito in aula anche questa mattina, rilasciando delle dichiarazioni spontanee prima che i giudici si riunissero in camera di consiglio per deliberare, dopo le controrepliche.

Ho sentito tante falsità (sul mio conto, ndr). Non è vero che sono una persona ricca, non è vero che sono una persona mafiosa. Non è vero che ho ammazzato una persona qua e una in Pakistan. Non è vero che sono andato a casa di Saqib (il fidanzato di Saman, ndr) a minacciare. Anche questo è falso, come quelli che dicono ‘ha ammazzato la figlia ed è scappato via’,

ha detto in lacrime. E ha poi ripercorso quanto accaduto nei mesi precedenti alla sua morte. Innanzitutto, il fatto che Saman lasciò la scuola.

L’ho sempre accompagnata. È stata lei a dirmi che non poteva andare più a scuola in bici e col treno, mi chiese di comprare una macchina perché io la accompagnassi, ma non era possibile perché non ho la patente. Allora fu lei a dirmi che non ci sarebbe andata. È vero che io ero contento della sua scelta di non andare più a scuola, ma non sono stato io a impedirlo,

ha riferito. A riportare le sue parole è La Repubblica.

La questione del matrimonio combinato

Poi Shabbar si è soffermato sulla questione del matrimonio.

Nel 2019 siamo stati in Pakistan, Saman mia moglie e io. Qualche giorno dopo mi ha chiamato mio cugino e mi ha detto io voglio Saman per fare casa con lei. Io gli ho detto che era una bambina. Lui mi ha detto no, voglio solo che ne parlate. Ne ho parlato con mia moglie e mia figlia. E Saman mi ha detto ‘Papà per noi va bene’,

ha riferito ai giudici, spiegando che, contrariamente a quanto riportato dalla stampa, l’uomo promesso in sposo a Saman non era “vecchio”, ma di soli quattro anni più grande di lei ed era inoltre “un buon partito”.

Ho sentito di un matrimonio combinato, anche questo non è vero. Lei era contenta, molto contenta. Lei chiamava sempre il suo fidanzato in Pakistan e la sua famiglia. Era felice. In Italia ha avuto dei ripensamenti e quando mi disse che non voleva più sposare il suo fidanzato pachistano io dissi ‘va bene’,

ha aggiunto, dichiarando di averla sostenuta in ogni sua scelta, anche quando scappò in Belgio per raggiungere un ragazzo afgano conosciuto online e poi decise di tornare a casa. Poco prima dell’omicidio era fuggita insieme al fidanzato. Secondo il fratello Alì Heider, ascoltato come super testimone, avrebbe voluto costruirsi una nuova vita. Il giorno dell’omicidio sarebbe stata attirata in una trappola, convinta a tornare e poi uccisa.

Mai in vita mia ho pensato di ammazzare mia figlia, neppure gli animali fanno questo. In carcere dicono “quello è l’uomo che ha uccisa sua figlia”, ma mai un padre e una madre potrebbero fare una cosa del genere. Saman era il mio cuore, il mio sangue. Ora dicono che io l’ho ammazzata. Non è neanche da pensare una cosa del genere. Non sono mai stato cattivo,

ha concluso l’uomo, giocandosi l’ultima carta che aveva per tentare di evitare l’ergastolo. La sentenza di primo grado è attesa per la serata di oggi, 19 dicembre.

Attesa per la sentenza di primo grado

Il corpo della 18enne fu trovato grazie alle indicazioni dello zio Danish, che insieme ai genitori e ai due cugini di Saman, Noumanoulaq Noumanoulaq e Ikram Ijaz, era già sospettato dell’omicidio. L’uomo, che ha collaborato con la giustizia, rischia 30 anni di reclusione e non l’ergastolo. I due cugini della vittima imputati, ritenuti meri esecutori dei suoi ordini, ne rischiano invece 26.

All’inizio per tutti e tre erano stati chiesti 30 anni. Poi però la Procura aveva optato per un ricalcolo della pena. Ad incastrarli c’è la testimonianza del fratello di Saman, che disse di averli visti portare la ragazza dietro alla serra dove sarebbe stata uccisa, trascinandola per il collo. Sull’utilizzabilità delle sue dichiarazioni si è discusso a lungo.

I giudici hanno infatti “accusato” la Procura di averle ottenute seguendo una procedura sbagliata. Il giovane, secondo loro, andava indagato come gli altri familiari fin dagli esordi della vicenda. Il Tribunale per i minori alla fine ha deciso di muoversi diversamente, dando fiducia al giovane, che ha più volte detto di “essere cambiato” e di voler dire solo la verità.