Cos’è il Giurì d’onore? Si tratta di una richiesta fatta da Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle che ha l’obiettivo, come dichiarato da lui stesso di “accertare le menzogne denigratorie del presidente del Consiglio Giorgia Meloni” pronunciate sul Mes.

Secondo il nostro ordinamento giudiziario il Giurì d’onore può intervenire nel caso in cui la persona offesa o l’offensore ne richiedano la nomina.

Il Regolamento della Camera dei Deputati, all’art. 58, prevede infatti che “quando nel corso di una discussione un deputato sia accusato di fatti che ledano la sua onorabilità, egli possa chiedere al Presidente della Camera di nominare una Commissione la quale giudichi la fondatezza dell’accusa”.

Dopo la richiesta, il Presidente della Camera assegna poi una scadenza per presentare le sue conclusioni alla Camera che ne prende semplicemente atto. In seguito si dovrà stabilire con certezza il fondamento delle accuse.

La Commissione del Giurì d’onore è solitamente composta da uno o più membri, in numero dispari.

Questi possono essere nominati dalle parti, dal Presidente del Tribunale nel quale pende il procedimento, dalle associazioni riconosciute come enti morali o scelti fra persone iscritte in appositi albi.

Le sedute della Commissione non sono pubbliche e gli stessi membri sono obbligati al segreto per tutto ciò che riguarda gli atti del procedimento. Tra questi possono rientrare l’esame di testimoni, la richiesta di documenti e informazioni alle pubbliche amministrazioni ed altri accertamenti.

Il verdetto è invece pubblico. L’eventuale diffusione di atti o documenti concernenti il giudizio è però sanzionata allo stesso modo dell’indebita pubblicazione di atti e notizie concernenti un procedimento penale.

Il tempo per pronunciare il verdetto è di tre mesi con la possibilità di essere prorogato per altri tre.

Cos’è il Giurì d’onore: come funziona

Nella prassi parlamentare per nominare il Giurì d’onore, come fatto da Giuseppe Conte, servono di fatto tre elementi fondamentali.

Il primo è l’accusa personale e diretta di un parlamentare nei confronti di un altro durante una discussione al quale segue l’attribuzione di fatti determinati.

Infine è necessaria la possibilità che la Commissione di indagine, che non possiede poteri coercitivi, possa acquisire elementi di conoscenza. Ad esempio attraverso alcune testimonianze spontanee riferite direttamente dagli interessati.

Questo procedimento raramente viene chiamato in causa perché il Regolamento del parlamento stabilisce che se un parlamentare ricorre “a parole sconvenienti” come detto nell’articolo 59, questo debba essere richiamato dal Presidente.

L’articolo 60 dice poi che debba addirittura essere espulso se il richiamo avviene una seconda volta o se in casi estremi “ingiuria uno o più colleghi o membri del Governo”.

Il precedente

Non è la prima volta che il Giurì d’onore viene utilizzato. Lo scorso Febbraio infatti, sempre durante il Governo Meloni, il Pd portò avanti la richiesta di applicare il Giurì d’onore dopo alcune affermazioni di Giovanni Donzelli in aula sul caso Cospito.

In quel caso il Giurì d’onore dovette giudicare il comportamento del deputato di Fratelli D’Italia che alla Camera aveva accusato il Pd di aver visitato in carcere a Sassari il 12 Gennaio l’anarchico per verificare il suo stato di salute accusandolo di fare gli interessi dei mafiosi al 41 bis.

Il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, aveva infatti nominato la “commissione d’indagine” con l’obiettivo di giudicare la fondatezza delle accuse poste nei loro confronti.

In quell’occasione il Giurì era presieduto da Sergio Costa e formato da Fabrizio Cecchetti, Annarita Patriarca, Roberto Giachetti e Colucci. Il caso si concluse con l’assoluzione di Donzelli che ritrattò quanto detto in Aula.

Anche durante alcune passate legislature il Giurì d’onore fu costituito per giudicare parole e toni eccessivamente forti usati dai deputati. Un altro esempio è il caso di Benito Paolone di Alleanza Nazionale nel 2004 e Franco Barbato di Italia dei valori prima nel 2010 e poi nel 2012.

In alcuni casi poi la messa in atto del Giurì d’onore viene evitata grazie alle scuse dell’accusatore. Ciò è successo l’11 Dicembre del 2009 con le parole di Maurizio Paniz di Forza Italia rivolte a Marco Minniti accusato il giorno prima per alcune affermazioni controverse.