Le attività di riciclaggio del denaro sporco sono necessarie per impedire alle bande criminali di godere del frutto delle proprie imprese. Devono essere quindi condotte in ogni ambito ove sono presenti zone grigie in grado di favorirlo.
Il settore delle criptovalute è da tempo accusato di essere un terreno ideale per i trafficanti di ogni genere. Per cercare di contrastare il riciclaggio tramite denaro virtuale, le autorità di contrasto al fenomeno ormai da tempo hanno varato politiche precise in tal senso. Le normative che sono state elaborate al proposito prendono il nome di AML, acronimo di Anti Money Laundering. Andiamo a osservarne da vicino la trasposizione nel settore dell’innovazione finanziaria.
AML: di cosa si tratta?
Le normative AML sono quelle espressamente rivolte ad impedire il riciclaggio di denaro sporco da parte delle bande criminali. Il loro rispetto viene imposto a tutti gli attori del mondo finanziario, compreso quello che si dedica alle valute virtuali.
In particolare, sono gli exchange di criptovaluta a doverle rispettare. Si tratta di un portato della licenza ad offrire servizi finanziari ricevuta dalle giurisdizioni cui fanno riferimento. Devono impedire che al loro interno si possano verificare movimenti di denaro proveniente da attività illegali e per poterlo fare è necessario il costante monitoraggio su identità e comportamenti della clientela.
A ispirare i regolamenti e le leggi tese scoraggiare il movimento di fondi illegali è in particolare la Financial Action Task Force (FATF), varata nel 1989 proprio per stimolare la cooperazione internazionale in questo particolare ambito.
Nel loro raggio di azione rientra l’opera di contrasto ai movimenti di denaro sospetto per finanziare il terrorismo, al contrabbando transfrontaliero e alle frodi di carattere fiscale. Se ogni Paese pratica una particolare politica al riguardo, la tendenza è comunque quella all’unificazione degli standard, a livello globale.
Queste attività traggono grande impulso dai progressi tecnologici. L’utilizzo di software sempre più performanti consente quindi di individuare i comportamenti sospetti. In un settore come quello criptovalutario, però, tali attività possono essere viste con fastidio.
Perché l’AML si occupa dei mercati crypto?
Con l’esplosione di Bitcoin e la formazione di un mercato straordinariamente liquido, anche le criptovalute sono entrate nel campo di osservazione degli enti chiamati ad applicare le normative AML.
Il motivo di questa attenzione è molto semplice: tra i punti programmatici su cui si basa il white paper di Satoshi Nakamoto, cui si richiamano espressamente anche le Altcoin, c’è la privacy. Una riservatezza che, nel caso delle privacy coin, è stata spinta ai confini con l’anonimato e anche oltre.
Questa grande voglia di privacy, però, va a contrastare proprio con la necessità di impedire il riciclaggio di denaro sporco. Per poter tracciare i movimenti di risorse è quindi necessario sapere chi frequenta i mercati crypto, tramite le procedure KYC (Know Your Customer). Una volta individuati gli interessati, però, è anche necessario controllarne le attività. A questo pensano, appunto, le normative AML.
Come funziona l’Anti Money Laundering
Le attività condotte dagli exchange per soddisfare le normative AML, possono essere suddivise in tre filoni principali
1. l’individuazione delle attività sospette e la conseguente segnalazione. Tra di esse possono rientrare in particolare i movimenti ingenti di risorse e le attività incoerenti, ad esempio l’improvviso utilizzo di un conto dormiente per lungo tempo o l’improvviso ed esponenziale aumento di attività su uno che da tempo era scarsamente utilizzato;
2. l’interruzione del servizio nei confronti di un utente, nel corso di un’indagine o a seguito delle conclusioni della stessa. In tal modo si taglia la testa al toro, impedendo che un determinato conto possa effettuare operazioni. A questa sospensione segue la creazione di un vero e proprio rapporto da parte della struttura, con la segnalazione delle attività sospette (SAR):
3. la ricerca dei fondi sospetti e la loro requisizione, con la restituzione degli stessi ai legittimi proprietari nel caso si tratti di risorse trafugate.
Si tratta di attività standard che devono essere condotte dagli exchange per non creare attriti con le autorità di contrasto al riciclaggio di denaro sporco. Più di una volta gli scambi si sono però sottratti a questo obbligo, a partire da Binance. Proprio le accuse di aver favorito il riciclaggio sono tra i capi d’accusa che hanno spinto il suo fondatore, Changpeng Zhao a rassegnare le dimissioni da CEO, nel passato mese di novembre.