Da oltre un anno, il corpo di Stefano Dal Corso giace all’interno di una bara nel reparto frigorifero del cimitero di Prima Porta a Roma. Avrebbe compiuto 43 anni quest’anno e due mesi fa avrebbe terminato la sua pena. Tuttavia, il 12 ottobre 2022 è deceduto nel carcere di Oristano. Inizialmente si pensava ad un suicidio, ma da qualche mese le indagini sono state riaperte e si segue la pista dell’omicidio.

Chi era Stefano Dal Corso? Reato e condanna

La vita di Dal Corso è stata complessa, segnata dalla dipendenza da crack ed eroina. Nel 2021 è stato condannato a meno di due anni di carcere, essendo un recidivo e scontando la pena ai domiciliari, a casa della sorella. Tuttavia, nell’agosto dell’anno precedente, ha violato i termini della detenzione domiciliare ed è stato trasferito nel carcere di Rebibbia. Inoltre, era coinvolto in un altro procedimento giudiziario. Aveva un’udienza prevista ad Oristano, dove viveva vicino a sua figlia. Chiese il trasferimento nell’istituto penitenziario sardo, desiderando la possibilità di incontrare la bambina anziché comunicare da remoto.

La morte

Il 4 ottobre arrivò nel carcere di Massama, una frazione della cittadina sarda, con l’intenzione di fare ritorno nella capitale il 13 dello stesso mese. Tuttavia, alle 14:50 del giorno precedente, venne trovato morto nella cella dell’infermeria dove era recluso da solo. Nelle immagini allegate agli atti, l’uomo indossava abiti neri e presentava una macchia rossa scura intorno al collo. Vicino al cadavere c’era un pezzo di tessuto bianco, mentre un altro stralcio penzolava dalle sbarre della finestra, sotto la quale era posizionato il letto.

Il primo agente della polizia penitenziaria ad arrivare sulla scena afferma di aver visto il detenuto vivo solo 10 minuti prima del ritrovamento del corpo. La sua testimonianza sui tentativi di soccorso coincide con quella del personale sanitario intervenuto nella cella. Tutti dichiarano di aver tentato la rianimazione per 40 minuti, rilevando che il corpo era ancora caldo e non presentava segni di colluttazione o di iniezioni di sostanze.

Le indagini

Gli inquirenti, dopo aver indagato sul caso, hanno concluso che si trattasse di un suicidio, una conclusione sostenuta anche dalla giudice per le indagini preliminari che, lo scorso 3 luglio, ha archiviato il caso. Tuttavia, sia la sorella Marisa che l’avvocato Armida Decina ritengono che ci siano troppe zone d’ombra da chiarire. Per questo motivo, negli ultimi dodici mesi, hanno lottato per ottenere l’esame autoptico al fine di dissipare ogni incertezza. Il 4 ottobre 2023 le indagini sono state ufficialmente riaperte.

Sulla base di ciò, il Pubblico Ministero ha richiesto l’archiviazione del caso e il giudice per le indagini preliminari ha disposto tale decisione, ritenendo “possibile escludere senza alcun dubbio che la morte di Dal Corso possa essere stata causata da un terzo” e scagionando l’amministrazione penitenziaria da responsabilità relative alla custodia del detenuto. Nessuno ha accolto la richiesta di eseguire l’autopsia, un passo necessario per dissipare ogni incertezza.

“La documentazione sulla morte di Stefano è carente, incompleta. Le fotografie sono parziali, il corpo è già stato rivestito”, ha dichiarato ieri l’avvocato Decina durante una conferenza stampa alla Camera, alla quale hanno partecipato la sorella della vittima, il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti e Rita Bernardini, presidente di Nessuno Tocchi Caino.

Ci sono due perizie medico-legali che sostengono almeno la richiesta di un’esame autoptico. La prima, richiesta dal Garante nazionale dei detenuti lo scorso dicembre, è stata redatta dalla dottoressa Cristina Cattaneo. La seconda, presentata dalla famiglia, porta i nomi di due esperti in medicina legale: il professor Claudio Buccelli e la professoressa Gelsomina Mansueto. Gli specialisti concordano su un punto: dalle immagini non è possibile determinare se il segno intorno al collo “sia il risultato del soffocamento o di un precedente strangolamento seguito da una simulazione di impiccagione”.

Le testimonianze

Tre testimonianze raccolte nel corso dei mesi aggiungono ulteriori incertezze e sofferenze ai familiari, ma per proteggere gli interessati non vengono divulgati i loro nomi. Un detenuto ha riferito che il giorno precedente alla morte, Dal Corso aveva difeso la sua richiesta di ricevere i farmaci per il diabete, subendo per questo un pestaggio da parte del personale carcerario. Quest’uomo è stato trasferito poche ore prima del ritrovamento del corpo. Un’altra persona, considerata affidabile dalla difesa e ben informata sui fatti, ha contattato Marisa, la sorella di Stefano, esortandola a continuare la sua battaglia poiché “lo hanno soffocato e poi hanno fatto passare la cosa come se si fosse impiccato”.

Un altro mistero riguarda un libro consegnato a casa della sorella nel marzo di quest’anno. Il titolo era “Fateci uscire da qui!”. Nell’indice erano evidenziati i capitoli “La morte” e “La confessione”. Marisa non è riuscita a incontrare il corriere né a parlarci dopo averlo richiamato.

A dicembre 2023, è spuntato un supertestimone che sostiene che Dal Corso sia stato ucciso dopo aver assistito ad un atto sessuale.

L’autopsia

Con la riapertura delle indagini, la donna spera di ottenere finalmente l’autopsia sul corpo di suo fratello, il più giovane dei dieci figli, che ha cresciuto come se fosse suo figlio. “La nostra famiglia non era facoltosa, ho dovuto abbandonare gli studi per occuparmi di lui”, dice, cercando di trattenere le lacrime e spiegando che il suo dolore è ancora intatto ma è cambiato: è diventato più rabbioso. Questo dolore la spinge a cercare la verità.

“Fin dall’inizio, è sembrato incredibile che non venisse autorizzata l’autopsia”, afferma il Garante dei detenuti Mauro Palma, ancora in carica in attesa della nomina del suo successore da parte del presidente della Repubblica. Palma, che è stato interrogato nel processo per la riapertura delle indagini e quindi non può fornire dettagli specifici, afferma: “C’è un senso di giustizia da soddisfare, anche in rispetto al dolore dei familiari”.